FiloBianconero racconta ROBERTO BAGGIO, il Divin Codino
Il Creato
Tutto ciò che
prima non esisteva e oggi esiste grazie ad un’intercessione del sovrannaturale.
La Bibbia rende
onore al creato con aggettivi toccanti, emozionanti
La creazione che
esprime la grandezza del divino e che troviamo nello splendore della natura,
nello luminosità di un’alba o nella meraviglia di un tramonto
Nell’incanto di
un cielo stellato nella grandiosità degli oceani nel verde rigoglioso di un
parco in un corso d’acqua di montagna
Anche nel calcio
chi crea ha sempre rappresentato un elemento altrettanto unico,
Un qualcosa che
si avvicina al sacro, affiancata da un fascino di seduzione e suggestione.
E nel football, chi
crea, ha sempre (o quasi) vestito la magli numero dieci
Il numero dell’imprevedibilità
ma soprattutto della creazione
Creazione che anche
nel calcio, così come in natura rappresenta una vera e propria magia e che si estrinseca
quando tutto d’un tratto nasce un’occasione da gol attraverso il talento di qualcuno.
Momenti in cui
noi amanti della pedata veniamo rapiti, sospendiamo sia i pensieri che quello
che stiamo facendo, incantati e sedotti dal momento che stiamo vivendo
Questa è magia
L’uomo ha bisogno
di momenti magici, di attimi che lo fanno sognare e il calcio gli consente di
poter fantasticare proprio attraverso la classe e la personalità di chi, quasi
sempre indossando la maglia numero dieci, riesce a rendere qualcosa di concreto
i loro sogni.
Non a caso i
grandi numeri dieci hanno frequentemente scandito la storia dei grandi club,
proprio come quelli che nel corso del tempo hanno vestito la maglia bianconera
Nel calcio del
dopoguerra il primo grande dieci bianconero fu Omar Sivori, con la dinastia che
proseguì con il tedesco Helmut Haller, l’irlandese Liam Brady, con uno dei numeri
dieci per eccellenza della storia del calcio, Michel Platini.
E poi ci fu Alessandro
Del Piero, Carlitos Tévez, Paul Pogba, Paulo Dybala
Ma a questo
elenco ne manca uno
Non uno a caso,
ma il protagonista di questa storia
Roberto Baggio
Il “divin codino”;
per molti il miglior calciatore italiano di sempre
La sua storia
parte da Caldogno, un piccolo paese a ridosso di Vicenza composto da poco più
di diecimila anime
Caldogno dove
Roberto nasce il 18 febbraio 1967 in una famiglia numerosa di quelle di un
tempo, di quegli anni nei quali pur non potendo disporre di grandi mezzi
economici ogni bambino rappresentava un dono e una gioia.
Roberto è il
sesto di otto fratelli e quel nome lo decide suo papà, in onore ai suoi due
idoli calcistici: Roberto Boninsegna e Roberto Bettega, guarda caso due eroi
bianconeri del passato
Papà Florindo
che al figlio non ha passato solo il nome ma ha infuso anche la grande passione
per il calcio, sport che Florindo pratica a livello dilettantistico
Ed è proprio andando
a guardare le partite del padre che Roberto si innamora del calcio
Prende a pedate
tutto ciò che trova sulla sua strada, lattine vuote, palline da tennis e
palloni artigianali costruiti con vecchi fogli di giornali arrotolati su sé
stessi, bagnati e poi lasciati indurire al sole
Inizialmente lo
fa nel corridoio di casa sua per poi passare ai campetti di Caldogno da dove incomincerà
il suo viaggio dell’eroe, quello che lo porterà a regalare impareggiabili momenti
di calcio ai tifosi di tutto il mondo.
Durante gli anni
delle scuole elementari Roberto entra a far parte della squadretta del suo
paese dove gioca, si diverte e fa divertire tutti.
È già un piccolo
fenomeno pur senza avere ricevuto alcun insegnamento tattico ma muovendosi in
campo assecondando il proprio istinto e il proprio talento.
A Caldogno
arrivano gli osservatori di molte squadre italiane ma è il Vicenza che con una
mossa fulminea riesce ad accaparrarselo per il proprio settore giovanile dove
in 120 partite realizzerà ben 110 reti.
Il piccolo Zico,
così incominciano a chiamarlo i vicentini in onore del suo idolo
Quell’Arthur
Antunes Coimbra soprannominato Zico, a cui Roberto assomiglierà non poco sia
per la qualità delle giocate che per le movenze sul terreno verde
Il debutto in
prima squadra Baggio lo fa a 16 anni, nel 1983, in un L.R. Vicenza-Piacenza di
serie C, incantando con la sua fantasia e con i suoi tocchi “brasiliani”
Nella stagione
successiva, segna il suo primo gol nel calcio dei grandi in una partita di Coppa
Italia di Serie C contro il Legnano e nella stagione 1984-1985, diventato nel
frattempo titolare fisso della prima squadra chiude la sua esperienza vicentina
con la promozione dei veneti in Serie B.
Baggio segna, fa
assist, da spettacolo
Lo vogliono
tutti ma il più svelto è il Conte Pontello della Fiorentina che con poco meno
di tre miliardi di lire lo porta nella città del giglio
Roberto ha 18
anni e il paradiso della serie A gli ha già spalancato le porte.
Ma il destino è
crudele e in una delle ultime gare di campionato della stagione 1984/85 Baggio
subisce un grave infortunio al ginocchio destro
Rottura del legamento
crociato anteriore e del menisco l’infausta diagnosi
Una lesione
terribile che rischia di mettere fine troppo prematuramente alla carriera del
talentino di Caldogno
Infortuni e calci
di rigore: due immagini che diventeranno iconiche nella carriera di Roberto
Baggio.
Lo portano in
Francia per un delicatissimo intervento chirurgico da un luminare della
chirurgia, e una volta operato lo affidano a Carlo Vittori ed Elio Locatelli;
due professionisti dell’atletica leggera specializzati nel potenziamento
muscolare e al massaggiatore Pagni un mago dei muscoli che lo accompagnerà per
tutta la sua carriera.
Sono momenti
durissimi per Baggio
Roberto non
gioca, e anche se la Fiorentina gli ha promesso di aspettarlo ha brutti pensieri
che gli vagano per la mente
Firenze, la città
che lo ha amato fin da subito offrendogli calore, amicizia e comprensione
Dopo oltre un
anno di assenza, nel campionato 1986/87, Baggio torna in campo
Debutta in serie
A, e quando i momenti bui sembrano dietro le spalle, il 21 settembre 1986 nel
corso di un allenamento il ginocchio operato l’anno precedente si spacca di
nuovo.
Baggio torna in
Francia per una nuova operazione, altri mesi ai box, con dolori tremendi sia
fisici che mentali
È dura ma pur a
fatica Roberto si riprende ma dopo un sol battito d’ali questa volta è il menisco
a saltare Baggio a soli vent’anni Torna per l’ennesima volta in sala
operatoria.
È scoraggiato,
demoralizzato, e pensa che sia finita
Ma c’è una cosa
che lo aiuta a tornare in campo: la sua fede nel buddismo.
Fede che lo
aiutato non solo nei vari post infortuni ma lungo tutta la sua carriera dal
momento che Baggio giocherà fino al giorno del suo ritiro con fortissimi dolori
alle ginocchia
Ma l’amore per
il calcio, l’allenamento spirituale e il coraggio gli consentirono di sopportare
il dolore, e poter scendere in campo sempre o quasi.
Perché se Baggio
avesse dovuto giocare soltanto quando stavo bene, con quelle ginocchia, avrebbe
disputato solo qualche partita all’anno
Nella stagione 1986/87
Baggio trova finalmente un po’ di continuità
Arrivano i primi
gol e con la sua Fiorentina incanta Napoli la città del più grande numero dieci
della storia, Diego Armando Maradona
Sembra essere la
svolta per Baggio che con il suo sorriso timido e dolce accompagnato dalle sue
giocate entra nel cuore non solo della Fiorentina ma dei tifosi di tutta Italia
Gli italiani lo
amano e lui li ricambia con le sue perle.
Destro naturale,
straordinario tocco di palla, visione di gioco, capacità non solo realizzative
ma anche come assist man, incantando con i suoi dribbling ubriacanti nei quali
era maestro.
Agile, rapido, elegante,
veloce di piede e di testa e chirurgico nei calci piazzati
Caratteristiche
più uniche che rare che lo portano a vestire la maglia azzurra con la quale
esordisce in un’amichevole contro l’Olanda nel 1988.
Roberto procede
spedito con il suo calcio che sprizza classe da tutti i pori e che regala
poesie
Diventa il sogno
non solo dei bambini ma anche degli adulti.
Nell’estate del
90 Pontello lo vende alla Juventus, con l’avvocato Agnelli che non essendo
riuscito ad accaparrarsi Diego Armando Maradona e avendo perso da qualche anno
il suo artista preferito, Michel Platini, necessitava di una scintilla capace
di tornare a farlo divertire e nello stesso tempo in grado di riaccendere la
passione nel popolo bianconero.
Cessione quella
di Baggio che scatenerà la follia dei tifosi viola con la città del giglio
messa letteralmente a soqquadro
Roberto pur a
malincuore è costretto a lasciare Firenze senza mai dimenticare l’amore per
quella maglia e per quella città
Intendiamoci: Baggio
non aveva nulla contro la Juventus, voleva semplicemente restare a Firenze per dimostrare
riconoscenza al popolo viola per quei primi due anni in cui lo avevano aspettato
Arriva a Torino
dove trova ad aspettarlo Gigi Maifredi, un tecnico della Nouvelle Vogue, di
quella categoria oggi definita dei giochisti, un tecnico giovane che promette
calcio champagne
A Baggio viene
consegnata la dieci con il club bianconero che dopo tre amare stagioni è
convinto di aver trovato l’erede di Le Roi, Michel Platini.
Per Baggio vengono
coniati i primi soprannomi
Lo chiamano sia Raffaello
per la raffinatezza delle sue giocate che Divin Codino per il particolare
taglio dei capelli.
La Juve di
Maifredi però non decolla e Baggio non incanta.
Sembra essersi
intristito sotto la Mole, ed aver perso quella spontaneità con cui deliziava
Firenze
Fino ad arrivare
al 6 aprile 1991, quando al 5′ del secondo tempo di Fiorentina – Juventus
l’arbitro Lo Bello di Siracusa fischia un calcio di rigore in favore dei
bianconeri.
Baggio si
rifiuta di andare sul dischetto lasciando il compito al compagno di squadra
Gigi De Agostini che fallisce il calcio dagli undici metri.
La carriera di
ogni giocatore è scandita da momenti chiave, fotogrammi che ne caratterizzano
l’immagine andandosi a depositare nella memoria collettiva
Proprio come
questo mancato calcio di rigore che passerà alla storia come “il gran rifiuto”,
e che alla pari di un altro calcio di rigore di cui parleremo a breve, rappresenterà
uno dei momenti iconici non solo del Baggio calciatore ma del calcio italiano
degli anni ’90.
Dopo il
fallimento di Maifredi la Juve richiama al capezzale di una Juve malaticcia
l’ex Giovanni Trapattoni.
La Juve è una
buona squadra, ma il Milan di Capello è irresistibile.
Roberto fatica,
poi si sblocca, segna, e diventa il fulcro del gioco dei bianconeri conquistando
tifosi, Agnelli, Coppa Uefa e nel dicembre 1993 il prestigioso Pallone d'Oro, undici
anni dopo quello conquistato da Pablito Rossi
Stagione quella
93/94 alla fine della quale si giocano i mondiali negli Stati Uniti Mondiali
che da sogno diventeranno un incubo per Roby Baggio
Con il ragazzo
di Caldogno che nel frattempo ha ammucchiato 27 anni, porta il codino, è
Pallone d’oro, ed è titolare indiscusso della Nazionale.
Il CT è Arrigo
Sacchi lo ha infatti eletto come il Maradona italiano; quell’oggetto di lusso
da mettere in mostra nella sua Italia super organizzata
Il mondiale
parte male sia per l’Italia che per Baggio con l’avvocato Agnelli che
dall’Italia gli manda messaggi cifrati dandogli del coniglio bagnato
Ma quando tutto per
gli azzurri sembra svanire, negli ottavi di finale con la Nigeria Roby si
carica la squadra sulle spalle segnando prima al 89° di gioco il gol del
pareggio e al 102° minuto il gol che regala all’Italia la qualificazione al
turno successivo
Roby che replica
sia nei quarti con la Spagna che in semifinale con la Bulgara, portando
l’Italia a giocarsi la finale con il Brasile.
È il 17 luglio
1994
Pasadena, ore
12:30, Italia Brasile: finale della quindicesima edizione del campionato mondiale
di calcio
Caldo torrido, partita
bloccatissima.
Zero a zero sia
alla fine dei tempi regolamentari che dei supplementari
Si va ai calci
di rigore
il Divin Codino
va sul dischetto,
Rincorsa…. calcio…con
il tiro che finisce tra le stelle
Baggio, il miglior
rigorista azzurro, ha sbagliato e il Brasile è campione del mondo
Il Divin Codino,
l’uomo che aveva portato l’Italia a quella finale, dopo partite durissime,
giocate in un caldo infernale con risultati raggiunti spesso sul filo di lana, grazie
ad una grande capacità di saper soffrire e rialzarsi una volta caduti
Baggio che consegnò
al cielo quel calcio di rigore.
Propri lui che
nella sua carriera non solo era sempre stato un cecchino nei calci dagli undici
metri ma che soprattutto mai li calciava alti
Mai tranne che
in quell’occasione
È impossibile
spiegare perché, se non prendere atto che ciò è successo.
Cento, mille,
duemila volte aveva calciato dal dischetto e quasi sempre aveva fatto centro.
Tranne in quel
pomeriggio di Pasadena quando il suoi piede fatato gli girò le spalle
Baggio che sin
da bambino sognava di giocare una finale dei Mondiali contro il Brasile
Con quel sogno
di un bambino che si è infranto in quel 17 luglio 1994 andandosi a trasformare nel
peggiore degli incubi del Roberto Baggio uomo
Dal momento che
proprio Roberto racconterà come quel calcio di rigore fallito abbia
rappresentato per anni ed anni il suo peggior incubo così come la principale
causa della tante notti insonni passate dal Divin Codino
Una cosa che può
succedere a chiunque, ma difficile se non impossibile da digerire per un
campione
Uno dei talenti
più luminosi e brillanti che si siano mai potuti ammirare nella storia del
calcio mondiale
Un episodio che non
rimane un semplice fotogramma nei tanti scatti della sua carriera ma che si
trasforma in una pagina amara, amarissima, di quel mito da consegnare alla
storia chiamato Roberto Baggio.
“Calci di rigore”
… un titolo che ci restituisce due momenti simboli della carriera di questo
grande campione:
Il primo, quello
di cui abbiamo appena parlato, che lo ritrae in maglia azzurra con il capo
chinato, le mani appoggiate ai fianchi, contornato dai brasiliani esultanti
Il secondo, quello
avvenuto circa tre anni prima in quell’Artemio Franchi di Firenze, quando con addosso
la maglia bianconera prima si rifiutò di tirare un calcio rigore e poi, una
volta sostituito si chinò per raccogliere una sciarpa viola lanciatagli da un
tifoso gigliato
Con l’intero
Franchi in delirio totale che gli regalò una standing ovation che anche a
distanza di più decenni regala ancora brividi al solo pensarci
Ma siccome, come
ci insegna il buon De Gregori: “Non è da un calcio di rigore che si giudica un
giocatore” la vita così come la carriera di Baggio va avanti con la stagione
1994-95, l’ultima per lui in bianconero.
In panchina è
arrivato Marcello Lippi, con cui Baggio non avrà buoni rapporti
Un Baggio con frequenti
problemi fisici che in quella stagione passerà più tempo in infermeria, in tribuna
e panchina che in campo, mentre nel frattempo un altro giovane numero dieci dal
grande talento, Alessandro Del Piero, stava avanzando a grani falcate
La Juve vince lo
scudetto, Robbi festeggia ma quella non è più la sua Juve.
Finisce sul
mercato e va al Milan dove avrà pessimi rapporti anche con Fabio Capello
Difficile a dire
il vero il rapporto tra Baggio e la maggior parte dei suoi allenatori, a
partire da quello con Sven-Göran Eriksson ai tempi della Fiorentina così come
quello che ci fu con Giovanni Trapattoni ai tempi della Juventus e con Renzo
Ulivieri a Bologna
Mentre fu vero
amore con Carletto Mazzone tecnico romano con cui Baggio negli anni della sua
militanza al Brescia riuscì ad instaurare uno straordinario rapporto di stima e
amicizia
Con Sor Cadetto che
da persona saggia lasciò Roby Baggio libero da ogni vincolo per poter inventare
il suo gioco.
Ma il destino crudele
si mette ancora di traverso sulla strada di Baggio e a Brescia questa volta è il
ginocchio sinistro ad andare KO.
Roberto si opera
per l’ennesima volta e decide di andare ancora avanti.
Gioca altri due
anni, con la maglia delle rondinelle, arrivando a segnare 205 gol nella serie A
italiana
Fino a quel 16
maggio 2004 dove a San Siro, nella Scala del Calcio, andò in scena l’ultimo
atto di questa lunga storia d’amore tra Roberto Baggio e il calcio italiano
Con l’intero
stadio in piedi a ballare e cantare in onore di uno dei campioni più amati
dagli italiani e la Gazzetta dello Sport che il giorno seguente titolò: «Sei
stato un mito, sei stato Baggio».
Roberto Baggio da
Caldogno
Regista,
rifinitore, attaccante, goleador, fantasista: tutto in uno
Uno degli ultimi
numeri dieci in un calcio diventato sempre più muscolare, schematico, standardizzato,
con la tattica messa prima di ogni altra cosa con il fascino per i numeri dieci
che forse proprio a causa di tutto ciò rimane un elemento capace di generare un
effetto così influente su ognuno di noi
Numeri dieci di cui
Roberto Baggio ha rappresentato un qualcosa che meglio non poteva essere
descritta che con le parole che usò per lui il grande Lucio Dalla: «A veder
giocare Baggio ci si sente bambini…Baggio è l’impossibile che diventa
possibile, una nevicata che scende giù da una porta aperta nel cielo»



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