FiloBianconero racconta ZINEDINE ZIDANE
Marsiglia è la
più grande città della Francia meridionale.
Capoluogo della Provenza,
primo porto della Francia e quarto del Mediterraneo.
Così come Roma è
sinonimo del Colosseo, Parigi della Torre Eiffel e Londra del Big Ben, Marsiglia
viene assimilata sì allo splendido sole che la bacia ma anche alla terribile criminalità̀
organizzata che nei fatti l’ha resa uno dei più fruttosi supermarket di
stupefacenti al mondo.
Malavita quella
marsigliese che non solo non teme nessuno ma che non prevede regole, con la
violenza utilizzatala come il miglior modo possibile per infondere il terrore e
per spadroneggiare.
Certo, non tutte
le zone di Marsiglia sono uguali.
Esistono quartieri
e zone chic, come quella del Vieux Port: centrale, pulita, sicura
Così come altre
zone decisamente meno graziose e sicure, quali Place de la Tartane, quartiere
La Castellane, estrema periferia di Marsiglia, nella quale la stessa Police
Nationale preferisce starvi alla larga.
Quartieri
costruiti con orribili palazzoni in cemento armato, siti in piazzali affollati
da auto rubate e lasciate a marcire, nei quali i piccoli marsigliesi cercano di
rendere più gradevole e meno insopportabile la loro esistenza sfidandosi in interminabili
partite di calcio.
Sfide di strada in
cui si affrontano frequentemente bande rivali, dove tutto è lecito; colpi
bassi, sgambetti, spinte, sputi, pugni e testate,
Quella Place de la Tartane bollente e polverosa nella quale
tra la fine degli anni 70 e i primi anni 80 del secolo scorso un ragazzetto di
nome Zinedine Zidane, figlio di un emigrante algerino, incominciò a tirare i
suoi primi calci ad un pallone.
La famiglia
Zidane era infatti stata costretta ad abbandonare la terra natia a causa della
guerra d'Algeria per stabilirsi a Marsiglia, dove i coniugi Zidane ebbero cinque
figli, l’ultimo dei quali fu proprio Zinedine.
Quella Marsiglia
nella quale Yazide, questo il soprannome di strada del giovane Zinedine,
passava ore ed ore di ogni santo giorno in quelle sudice e roventi lingue
d’asfalto divertendosi con il suo gioco preferito: il pallone.
Yazide,
esattamente come la maggior parte dei suoi coetanei, conosceva solo la strada,
e il suo “Combat street football”.
Il calcio da
combattimento di strada, che con la sua totale assenza di regole e
quell’intrinseca capacità di insegnare un tipo di tecnica impossibile da apprendere
anche nelle migliori scuole calcio, ha sempre rappresentato un’impareggiabile
miniera di talenti.
Yazide si
innamorò dell’emozioni che provava nel far rotolare quell’attrezzo rotondo e ad
undici anni, pur ignaro di cosa rappresentasse far parte di una squadra di
calcio, entrò prima nel settore giovanile di una piccola realtà locale, il Saint
Henri, per poi passare all'Olympique Marsiglia.
Nel corso di uno
stage per baby calciatori organizzato dalla federazione calcio francese il
ragazzo di origine algerina fu notato da Jean Varraud, talent scout del Cannes dall’occhio
clinico.
Con l’esperto
osservatore francese che rimase letteralmente folgorato da come questo
ragazzetto trattava il pallone, riuscendo a mettere in mostra non solo una
tecnica fuori dal comune ma accompagnata da un’impressionante movenza del piede
destro, che muoveva alla velocità della luce.
Ma ciò che più
di ogni altra cosa fece perdere la testa a Varraud fu la “Garra” che quel
ragazzo mostrava in campo, tipica di chi proviene dagli ultimi.
Zinedine era già
noto a buona parte degli osservatori locali, sì per queste sue naturali doti
tecniche ma anche per essere un prepotente e un rissoso.
E fu solo grazie
all’insistenza di Varraud che i dirigenti del Cannes decisero di dare una
possibilità a questa sorta di bullo di periferia.
Con il
lungimirante scopritore di talenti a cui andrà il merito di aver intuito che il
ragazzino germogliato nei vicoli di Marsiglia sarebbe diventato uno dei più
grandi artisti della storia del calcio mondiale.
Varraud era
altresì convinto che quel ragazzo non fosse portatore di un’anima cattiva ma ciò
che mostrava rappresentava solo la corazza che il calcio di strada lo aveva
costretto ad indossare e che lo portava ad apparire come il violento che non
era.
Ecco che, nell’estate
del 1987, l’allora quindicenne Zidane si trasferì a Cannes, dove crescerà con
appeso alla parete il poster del suo idolo calcistico: il “Principe”, l’uruguaiano
Enzo Francescoli.
Fuoriclasse
uruguaiano dotato di classe e qualità tecniche straordinarie di cui Zidane si era
innamorato vedendolo giocare nell’Olympique Marsiglia.
Zidane esordì in
prima squadra a soli sedici anni il 20 maggio 1989, in un Cannes – Nantes
terminato 1-1, giocandone gli ultimi dodici minuti e circa un anno e mezzo
dopo, agli inizi del 1991, mise a segno il suo primo gol nel calcio dei grandi,
ancora una volta con la squadra del Nantes sulla propria strada.
Un gol di
pregevolissima fattura: controllo di gran classe e per finire un delizioso pallonetto
depositato alle spalle dell’incredulo e malcapitato portiere avversario.
Il suo nome
incominciò a girare vorticosamente nei salotti calcistici d’oltralpe con
qualcuno che iniziò a parlare di lui come del “nuovo Platini”.
Nell’estate del
1992 il Cannes lo cedette al Bordeaux, dove il tecnico Rolland Courbis, certo
che sarebbe diventato un top player, lo mise al centro sia del gioco che del
progetto della propria squadra pur tra lo scetticismo di chi lo considerava
lento, sovrappeso e troppo compassato per il calcio moderno.
Bordeaux che con
il trio Lizarazu-Zidane-Dugarry nella Coppa Uefa ’96 fece fuori prima il grande
Milan di Capello, poi lo Slavia Praga in semifinale arrivando a giocarsi la
finale (poi persa) con i bavaresi del Bayern Monaco.
Milan che in quella
doppia sfida con i “bordelais si invaghì di Dugarry, giovane centravanti (classe
1972) di buon talento, con fiuto del gol e una struttura fisica tipica di quel centravanti
d’area di rigore capace di far bene in Italia.
Luciano Moggi
invece, per la sua Juventus, mise gli occhi su Zinedine Zidane e con una delle
sue proverbiali intuizioni nell’estate 96 lo portò a Torino per 10 miliardi di
lire.
Esattamente come
avvenne per “Le Roi” Michel Platini, il suo ambientamento sotto la Mole fu
tutt’altro che semplice, soprattutto riguardo alle metodologie di allenamento
del tecnico Marcello Lippi e del suo fido preparatore atletico, il “marines”
Ventrone, famoso per ammazzare di lavoro i propri atleti.
Anche da un punto
di vista tattico non fu semplice per il francese abituarsi ad un calcio come
quello italiano, molto più rigido e dogmatico riguardo ai movimenti e alle
posizioni da tenere in campo rispetto alla serie A francese.
Ma a gioco lungo
Zidane decollò e lo fece grazie a Marcello Lippi che lasciandogli libertà di
inventare calcio, proprio come il giovane Yazide faceva nel suo calcio di
strada, gli consentì di rendere apparentemente banali le cose per altri
difficili se non impossibili.
Zidane che riuscì
a far cambiare idea anche all’Avvocato Gianni Agnelli, “Platiniano” di ferro
che inizialmente aveva espresso più di un dubbio sulle qualità di questo
transalpino di origine algerina.
Giocate, assist
e scudetti in bianconero, e a fine ‘98 anche lo strameritato Pallone d’Oro.
Con un unico
neo, quello di ben due finali di Champions perse pur da favoriti, la prima contro
il Borussia Dortmund e la seconda contro il Real Madrid.
Cinque splendide
stagioni bianconere nelle quali Zidane non solo vinse tanto ma riuscì a
compiere quel definitivo salto di qualità che nell’estate del 2001 lo portò al
Real Madrid per la cifra record per il calcio di quei tempi di 150 miliardi di
lire.
Blancos con i
quali Zidane vincerà tutto, prima come giocatore e poi come allenatore.
Il destino però,
è capace di essere crudele come pochi.
Al termine di
una straordinaria carriera, Zidane giocò la sua
ultima partita la sera del 9 luglio 2006 quando a Berlino, Stadio Olimpico, andò
in scena Italia-Francia, finale della diciottesima edizione del campionato
mondiale di calcio.
Tutto filò liscio
fino al 111° minuto di gioco quando accade l’irreparabile.
A fronte di un
alterco con Marco Materazzi, Zidane si lasciò trasportare dalla parte più
istintiva del suo carattere andando a colpire con una testata in mondovisione
il difensore azzurro in pieno stile Combat street football.
Il tutto a causa
di un’offesa rivoltagli da Materazzi riguardo l’adorata sorella, onta che
scatenò quella scellerata zuccata vomitata in faccia al mondo.
Retaggio della sua
provenienza e figlia degli anni di strada trascorsi in quei vicoli marsigliesi
così duri nel quale se vieni provocato non puoi girarti dall’altra parte.
Con l’arbitro Elizondo
che su indicazione del quarto uomo fu costretto a cacciare Zizou costringendolo
a dare l’addio al grande calcio nel peggiore dei modi possibili.
Un finale che
Zizou non avrebbe meritato dopo una carriera passata al top.
Campione non
solo tecnico ma dal grande carisma e dotato di una naturale leadership e
appartenente di diritto al gotha del calcio come uno dei più grandi giocatori
al mondo non solo degli ultimi 30 - 40 anni, ma con ogni probabilità di tutti i
tempi.
Molto di più che
un centrocampista: un tuttocampista dalle evidenti e celebri doti offensive e
un vero e proprio terrore per gli avversari quando correva con il pallone ai
piedi.
Un artista del
calcio Zinedine, con le sue proverbiali veroniche; finte con la quale firmava i
suoi principali dipinti sul terreno verde.
Con quel genio,
quella creatività, quell’essere artista che nessuno ti può insegnare ma devi
solo avercelo dentro, sia che tu sia a La Castellane, a Torino, al Santiago
Bernabeu o a Berlino.
Zidane che con le
sue contraddizioni rappresentare dalla dolcezza del suo sguardo e dalle testate
in diretta mondiale ha rappresentato nel modo più aderente possibile lo Yin e
lo Yang, lo Zenit e il Nadir, l’Est e l’Ovest.
I due estremi, i
poli opposti, proprio come lo sono Marsiglia e Cannes, le prime città della sua
vita.
Con la malavita marsigliese
da una parte e il Red Carpet tanto amato dai “Cannois” dall’altra
Così come i
portuali di Marsiglia contrapposti ai divi miliardari della Costa Azzurra.
Una storia
quella di Zidane che dovrebbe far riflettere i teorici del calcio.
Quelli che intendono
lo sport della pedata come una scienza esatta e come tale non solo lo
interpretano esclusivamente in base ai numeri ma ancore peggio lo insegnano
allo stesso modo.
Andando quindi ad
imbrigliare il talento dei bambini fin dai loro primi calci con schemi rigidi e
dettami tattici capaci solo di tarpare le ali della fantasia e della
creatività.
Obbligandoli a
passare la palla al compagno più vicino anziché incoraggiandoli a tentare quel dribbling,
quella giocata, quella veronica, con la quale il divino Zizou ci ha deliziato
per tanti anni grazie a quanto appreso negli anni del suo Combat street
football”, il calcio da combattimento di strada.
Il calcio; quel meraviglioso
gioco di prestigio, quella vera e propria magia, che rappresenta per tutti noi
calciofili la cosa più importante delle cose non importanti della vita.



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