FILOBIANCONERO racconta Gaetano Scirea
Sandro Ciotti, giornalista,
radiocronista e telecronista sportivo dalla voce inconfondibile, fu tra gli uomini
di sport del secolo scorso più amati dagli italiani. Oltre duemilaquattrocento
partite di calcio raccontate nella popolare trasmissione radiofonica “Tutto il
calcio minuto per minuto” e conduttore di otto indimenticabili edizioni della “Domenica
Sportiva”.
Otto anni fecondi di puntate realizzate
con ironia, garbo, stile, professionalità, condite da quella voce roca amata e
seguita da milioni di ascoltatori. Voce
che nessuno avrebbe mai voluto ascoltare la sera del tre settembre 1989, quando
proprio al «The Voice» versione italiana toccò l’ingrato compito di interrompere
la popolare trasmissione domenicale per dare una terribile notizia, quella
della morte di Gaetano Scirea.
"Scusate, dobbiamo interrompere
la selezione delle partite di serie A, che verrà comunque ripresa tra poco, per
una ragione veramente tremenda: è morto Gaetano Scirea, in un incidente
stradale avvenuto in Polonia, dove si era recato per seguire la squadra che
sarà la prossima avversaria della sua Juventus nella coppa. È inutile spendere
parole su un uomo che si è illustrato da solo per tanti anni su tutti i campi
del mondo, che ha conquistato un titolo mondiale con pieno merito e che
soprattutto era un campione non soltanto di sport, ma soprattutto di
civiltà".
Queste le parole con cui, con voce
tremante dalla commozione, Sandro Ciotti annunciò a tutt’Italia la prematura e
tragica scomparsa di Gaetano Scirea, straordinario eroe bianconero.
Nato il 25 maggio del 1953 a Cernusco
sul Naviglio e appassionato di calcio fin da bambino, Scirea incominciò la sua
avventura con il pallone tra i piedi con i ragazzi del San Pio “X” nel ruolo di
attaccante. Nel 1967 lo acquistò l’Atalanta, club nel quale venne trasformato
prima in centrocampista e poi in un libero moderno grazie a una felice
intuizione del viceallenatore della prima squadra Ilario Castagner.
Il libero, inizialmente conosciuto come
“battitore libero “era il numero sei nel calcio dall’uno all’undici. Ruolo che
iniziò a diffondersi a partire dagli anni '50 del secolo scorso quando nel football
giocato con rigide marcature a uomo, rappresentava quel difensore che, esente
da compiti di marcatura, era appunto “libero” di andarsi a posizionare a
copertura e sostegno dei marcatori.
Ruolo importantissimo nel “calcio
all’Italiana”, quello del “catenaccio” di scuola Nereo Rocco, che assunse una
dimensione sempre più rilevante tra gli anni ’70 e gli anni ’80 nei quali si
misero in mostra liberi di straordinari valore: i tedeschi Frantz Beckenbauer e
Uli Stielike, l’olandese Ruud Krol, l’argentino Daniel Passarella e gli
italianissimi Franco Baresi e Gaetano Scirea. Autentici fuoriclasse della
pedata che pur in epoche diverse e con i peculiari stili, conferirono al ruolo
del libero un peso e una portata fino ad allora sconosciuta.
Difensori che oltre a rilevanti attitudini
difensive possedevano i cosiddetti piedi buoni grazie ai quali si occupavano in
coppia con il regista di dare il via alla manovra dettandone i tempi e
rappresentando veri e propri facitori di gioco delle proprie squadre.
Con un’altra caratteristica che fece da
minimo comune denominatore a questi grandi calciatori: la personalità, il
carisma. Non a caso era proprio ai liberi che veniva demandato il compito di comandare
la difesa, di chiamare il fuorigioco così come ad invitare la squadra a salire
piuttosto che a ripiegare all’indietro.
Una serie di elementi tecnici e caratteriali
che ci parlano proprio di Gaetano Scirea, un’icona mondiale riguardo al ruolo
del libero fin dal 24 settembre 1972, giorno del suo esordio nella massima
serie italiana. Debutto che avvenne in un Cagliari – Atalanta nel quale Gai,
questo il suo soprannome, incantò per senso tattico, leadership nel comandare
la difesa, visione di gioco ed eleganza nel tocco di palla.
Uno stile talmente seducente il suo
che portò non solo più addetti ai lavori ad attribuirgli l’appellativo del Beckenbauer
italiano ma che gli consentì di fare colpo sull’occhio vigile degli osservatori
della Vecchia Signora che fecero arrivare sulla scrivania di Giampiero
Boniperti fior di relazioni entusiastiche riguardo questo giovane difensore
orobico. Un vero e proprio predestinato.
Boniperti ne acquistò il cartellino
lasciandolo un’ulteriore e stagione a Bergamo a farsi le ossa per poi portarlo
sotto la Mole nell’estate del 1974 quella nella quale i bianconeri
necessitavano di un restyling proprio nel ruolo del libero, fino a quel giorno
occupato dall’ottimo Sandro Salvadore giunto però al capolinea della sua
esperienza bianconera per sopraggiunto numero di primavere.
Gai, arrivato in punta di piedi nel ritiro
bianconero di Villar Perosa, si mise al lavoro a testa bassa e in assoluto
silenzio (come da sua abitudine) agli ordini di Mister Carlo Parola, con il
tecnico bianconero che da profondo conoscitore di calcio ci mise poco ad
intuire che quel giovane lombardo avrebbe potuto dargli ben di più rispetto all’esperto
Spinosi.
E così, dopo poche giornate di
campionato, il tecnico bianconero gli affidò la maglia numero sei inserendolo
in una difesa che comprendeva l’esperienza del duo Cuccureddu - Morini e l’esuberanza
di un giovane Claudio Gentile.
Stagione, 1974/’75, nella quale Scirea
disputò 28 partite su 30, conquistando il suo primo scudetto e assumendo la
titolarità di quella maglia numero sei che mantenne anche nella stagione
1976/77 quando a Torino arrivò in panchina il “Giuan”, Giovanni Trapattoni per
inaugurare uno straordinario ciclo vincente di una delle più grandi Juventus
della storia.
Epopea nella quale Scirea fu uno dei maggiori
protagonisti nonché capitano, con la fascia portata ininterrottamente al
braccio dal 1983 al 1988, quello del suo addio al calcio giocato. Anni nei
quali il ruolo del libero incominciò a vacillare a causa dell’avvento dei
profeti della “zona”, una modalità di gioco edificata su quattro difensori in
linea che non prevedeva quindi la presenza di un uomo (il libero) piazzato alle
spalle degli altri difensori.
Quattordici stagioni consecutive
quelle di Scirea in maglia bianconere nelle quali riuscì a vincere sette
scudetti, due Coppe Italia, una Supercoppa, una Coppa Intercontinentale, una Coppa
dei Campioni, una Coppa Uefa e una Coppa delle Coppe, mettendo insieme 552
presenze complessive con 148 gare giocate consecutivamente.
Quattro di queste quattordici annate Scirea
le disputò senza saltare nemmeno una gara grazie ad uno stile di vita
irreprensibile fuori dal campo così come all’assenza di espulsioni, fattispecie
più unica che rara per un difensore.
Anni nei quali Gaetano ebbe più volte
la possibilità di lasciare la Juventus, grazie ad offerte particolarmente allettanti
arrivategli in ogni sessione di mercato. Proposte puntualmente rifiutate da
Scirea dal momento che per Gai esisteva una sola squadra: la Juventus. Maglia
bianconera che svestiva solo per andare ad abbracciare la sua amata famiglia
composta dalla moglie Mariella Cavanna e dal figlio Riccardo, che a tutt’oggi fa
parte dello staff tecnico bianconero come responsabile della Match Analysis.
In realtà oltre a quella bianconera
vi fu un’altra maglia a cui Scirea fu particolarmente e orgogliosamente devoto;
quella della nazionale italiana. Maglia azzurra con la quale scrisse pagine
indimenticabili come nel terzo posto al mondiale di Argentina ‘78 ma soprattutto
riguardo al Mundial Spagnolo del 1982, manifestazione che lo consacrò Campione
del Mondo.
E come detto pocanzi, nel 1988, dopo quattordici
stagioni passate a dirigere dal campo la difesa bianconera, colse al volo la
proposta fattagli da Giampietro Boniperti di diventare il vice Zoff sulla
panchina della sua amata Juventus.
Con il Presidente bianconero che
decise di affidare a queste due bandiere di Madama le sorti di una Juventus in
una difficile fase di transizione tra il decennio d’oro marchiato Trapattoni (1976
– 1986) e in tentativo di riaprire un nuovo ciclo di grandi vittorie. Due straordinari
campioni, due eroi bianconeri, ma ancor prima due amici e compagni di mille
battaglie accumunati sia dal grande senso del dovere che da un carattere schivo
e silenzioso, tutt’altro che amanti delle luci della ribalta e dei riflettori
mediatici.
A Scirea così come a Zoff piaceva insegnare
calcio, motivare, spronare i proprio calciatori così come cercando di
instillare loro quella Juventinità così importante per chi si approcciava al
mondo bianconero. Ma la vita è un po’ come una partita a carte: per vincere
serve strategia, bravura e un “pizzico” di fortuna. Quella fortuna che non ebbe
Gai in quel terribile 3 settembre 1989. Giorno in cui dopo aver visionato per
la Juve il Gornik Zabrze, squadra polacca che avrebbe dovuto affrontare con la
sua Juve in Coppa Uefa, perse la vita nell’incendio scatenatosi nel
tamponamento tra la sua auto e un camion nei dintorni di Babsk.
Pochi giorni dopo il grande
giornalista Gianni Mura scrisse: "Con Gaetano Scirea se n'è andata una
delle facce più pulite del nostro calcio." Un uomo “libero” che ha dato
tutta la sua vita al calcio e che ci ha abbandonato troppo presto lasciando un
vuoto incolmabile in ogni tifoso bianconero. Una leggenda a cui era impossibile
non voler bene.
Ciò che rimane di Scirea è lo
splendido ricordo di un campione ma ancor prima di uomo buono, leale, umile.
Un leader silenzioso ma carismatico
nello stesso tempo; un esempio di stile e classe sia in campo che fuori. Sono
passati 33 anni da quell’infausta e maledetta giornata polacca senza che il
tempo ne abbia minimamente offuscato l’immagine, con l’intero popolo bianconero
che lo ricorderà per sempre con assoluta fierezza.
Ci mancherà per sempre Gaetano: unico,
incommensurabile, incancellabile capitano della Vecchia Signora.



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