FiloBianconero racconta il biennio di Fabio Capello sulla panchina della Vecchia Signora
Luglio 2006. Il mese
e l’anno più nero nella ultracentenaria storia della Juventus. “Calciopoli”, lo
scandalo che investì a mo’ di tsunami più società professionistiche calcistiche,
nonché numerosi dirigenti, arbitri, assistenti e tesserati vari, fu infatti
principalmente nefasto per il club della famiglia Agnelli.
Tutto ebbe
inizio il 2 maggio 2006 quando la Federcalcio diffuse un comunicato secondo il
quale il proprio ufficio indagini stava investigando da mesi su episodi di
presunta corruzione nel mondo del calcio. Il tutto a causa di una serie di
scoop pubblicati su più testate giornalistiche a tiratura nazionale relativi ad
intercettazioni telefoniche compromettenti.
A finire sotto
inchiesta in casa bianconera fu la “triade”: Luciano Moggi, Antonio Giraudo e
Roberto Bettega. E al termine dell’iter processuale la Corte Federale sentenziò
la Juventus retrocessa in serie B con diciassette punti di penalizzazione, la revoca
dello scudetto 2004-2005, la mancata assegnazione dello scudetto 2005-2006, 120.000
euro di multa e tre giornate di squalifica del proprio terreno di gioco.
Due scudetti che
la Juve aveva vinto strameritatamene sul campo, ultimo dei quali il 14 maggio
2006 sul neutro di Bari battendo per 2-0 la Reggina grazie alle reti di
Trezeguet e Del Piero pur con la mannaia a gravarle sul capo delle possibili
sanzioni dello scandalo in questione.
Il ventinovesimo
scudetto della propria storia che non solo nessun tribunale italiano potrà
cancellare dalla memoria collettiva ma che riversò ancor più amore e passione dell’intero
popolo bianconero sia sui giocatori che sui dirigenti coinvolti dall’indagine.
Scudetti
bianconeri numero ventotto e ventinove, che nacquero due anni prima e
precisamente il 27 maggio 2004 giorno in cui la Juventus annunciò a sorpresa il
nome del suo nuovo allenatore: Fabio Capello.
Un celebre aforisma
della scrittrice britannica Virginia Woolf recita: “Dietro ogni grande uomo c'è
sempre una grande donna”. Per effetto della proprietà transitiva è possibile affermare
che dietro ad ogni successo bianconero esista sempre una grande Vecchia
Signora, intesa come gruppo di comando.
Non a caso tutte
le Juventus più vincenti hanno sempre avuto come minimo comune denominatore una
grande dirigenza, formata da grandi capitani d’azienda, condizione che ha
storicamente rappresentato uno dei principali elementi distintivi di Madama. Proprio
come il trio Giraudo – Moggi – Bettega, apicali del club bianconero nel periodo
compreso fra il 1994 e il 2006, protagonista di uno straordinario ciclo di
successi sia sportivi che economici. Management a cui, fra le tante vittorie
conquistate sul campo va inscritto anche il merito di aver posto le basi per la
costruzione dell’attuale stadio di proprietà della Juventus.
Antonio Giraudo
è stato l’AD di quella Juventus. Manager di origine torinese che non solo portò
in borsa la Juventus ma che fu il principale artefice di straordinarie e
fruttuosissime partnership e sponsorizzazione come, ad esempio, quella con la
società petrolifera Tamoil. Dodici anni di gestione economico-finanziaria del
club che consentì alla Vecchia Signora di chiudere ogni bilancio in utile. Uomo
dal carattere d’acciaio, duro, spigoloso, freddo, esattamente come si conviene
a chi deve guidare una grande azienda. Luciano Moggi era il DS di quella grande
straordinaria Juventus. Tornando a Torino nel punto più alto della sua
esperienza professionale, dal momento che Lucianone incominciò la sua avventura
nel mondo della pedata negli anni Settanta come factotum dall’allora direttore
generale Italo Allodi proprio alla Juventus. Un giovane dirigente, l’uomo di Monticiano,
che in quegli anni attraverso una straordinaria rete di osservatori, setacciando
i campi di tutt’Italia riuscì a scovare formidabili talenti come Paolino Rossi,
Claudio Gentile e Gaetano Scirea, solo per citarne alcuni. Infine, ma non per
ultimo, Roberto Bettega. Ex giocatore e bandiera del club, con il sangue di
colore bianconero a scorrergli nelle vene. Tre figure che operavano in piena armonia
e unità di intenti. Esattamente come accadde quando il Presidente bianconero, l’Avvocato
Franzo Grande Stevens, affidò loro il compito di portare un grande allenatore a
Torino. Juventus che era alla ricerca di un nuovo condottiero a cui affidare la
panchina dopo che il pluriscudettato Marcello Lippi aveva annunciato il proprio
addio al club bianconero per andare ricoprire il ruolo di C.T. della nazionale
azzurra.
Come sempre
quando si parla della panchina della Vecchia Signora tutti i maggiori
quotidiani sportivi e no, si scatenarono, gettando in pasto agli Juventini di
tutto il mondo i nomi più diversi. Dagli emergenti Cesare Prandelli e Francesco
Guidolin, ad un grande ex, Didier Deschamps (in quel periodo tecnico del Monaco)
a grandi guru del calcio internazionale quali Hiddink, Sven Goran Eriksson e
altri ancora.
La Triade non
ebbe nessuno dubbio dal momento che nella loro testa esisteva un solo nome,
quello di Fabio Capello. E con un’operazione condotta totalmente sottotraccia
in perfetto stile Juve, il 27 maggio 2004 uscì proprio il nome di “Don Fabio”
per la panchina bianconera.
Il tecnico di
Pieris, in quel momento considerato all’unanimità il miglior allenatore
italiano grazie ad una straordinaria serie di vittorie ottenute sia in Italia
che in Europa: quattro scudetti e una Champions League con il Milan, uno
scudetto con la Roma, una Liga al Real Madrid e più Supercoppe Italiane.
Capello che nei suoi anni rossoneri e giallorossi aveva più volte battibeccato
con i vertici bianconeri. Ma come sempre accade, quando la seducente Madama chiama,
nessuno sa dirle di no.
Tanto meno
l’allenatore friulano che a Torino nel periodo 1970 - 1976 aveva trascorso un
momento importante della propria carriera da calciatore trovandosi perfettamente
a suo agio grazie ad una forma mentis totalmente sovrapponibile a quella
vigente in casa Juventus. Rispetto delle regole e delle persone, rigida
disciplina, organizzazione maniacale e mentalità vincente.
Nei gruppi
gestiti da Capello esisteva un sagace utilizzo di bastone e carota da esibire al
momento giusto. Competenza, carisma, personalità, e un codice di regole severissime,
i segreti dei suoi successi. Gli stessi che nel corso degli anni avevano
contribuito a formare lo stile Juventus. Una modalità di conduzione del gruppo
che prevedeva l’immediato allontanamento di chi decideva di non seguirlo.
Assiomi su cui Capello e la Juventus non solo avevano creato i principali
presupposti per i loro grandi successi ma fatto crescere l’albero maestro a cui
aggrapparsi nei momenti di maggior turbolenza.
Squadre quelle
di Capello facilmente riconoscibili a livello di anima, identità, stile di
gioco, con una serie di tratti comuni riflettenti il pragmatismo, la durezza e la
spigolosità dell’uomo. Schierate con un 4-4-2 classico, solidissimo, che
poggiava le sue fortune su una fase difensiva molto organizzata e su una difesa
praticamente imperforabile.
Ad un ottimo
organico che comprendeva Gianluigi Buffon, Gianluca Pessotto, Gianluca
Zambrotta, Mauro Camoranesi, Pavel Nedvev, David Trezeguet, Alessandro Del
Piero Ciro Ferrara, Alessio Tacchinardi, Luciano Moggi inserì Fabio Cannavaro,
straripante difensore centrale in arrivo dall’Inter e il talento proveniente
dall’Ajax Zlatan Ibrahimović. Con quest’ultimo che andrà a formare un tandem
d’attacco di rara potenza, classe, fisicità e personalità con il nazionale francese
David Trezeguet. Lucky Luciano acquistò poi al suo nuovo allenatore due
calciatori espressamente richiesti dal tecnico ex Roma: il terzino francese
Jonathan Zebina e il “Puma”, Emerson Ferreira da Rosa più noto come Emerson. Brasiliano
classe 1976, leader del centrocampo dotato non solo di una travolgente fisicità,
ma di una raffinata intelligenza tattica, piedi brasiliani, personalità,
leadership e capacità di inserimento nella trequarti avversaria.
Otto
titolarissimi: Buffon, Zebina, Thuram, Cannavaro, Zambrotta, Camoranesi,
Emerson e Nedvev. Un centrocampista a rotazione tra Blasi, Tacchinardi,
Oliveira e Appiah e due punte da scegliere partita per partita tra Trezeguet,
Ibrahimovic, Alex Del Piero e Marcelo Zalayeta. Questa la Juve con Fabio
Capello in panchina.
Squadra che esordì
in campionato vincendo per 3-0 a Brescia con reti di Nedved, Trezeguet e Ibrahimović
scendendo in campo con Buffon tra i pali e una linea difensiva a quattro che
prevedeva da destra a sinistra Jonathan Zebina, Lilian Thuram, Fabio Cannavaro
e Gianluca Zambrotta. Mediana basata sull’estro dell’oriundo German Camoranesi,
sulla forza di Pavel Nedvev e sulle dighe di centrocampo Emerson e Manuele
Blasi. Con il duo Alessandro Del Piero - David Trezeguet in prima linea.
Gara d’esordio a
cui seguirono altre due vittorie, un pareggio e poi altre cinque vittorie. Un
ruolino di marcia che consentì ai bianconeri di assestarsi in vetta alla
classifica accumulando un vantaggio di nove punti sulla seconda in classifica a
fine gennaio, con il team di Capello che sembrava avviarsi a vincere lo
scudetto a mani basse.
Un leggero calo
psicofisico causò un rallentamento nella marcia di Madama; frenata che consentì
ai rossoneri di Ancelotti di recuperare parte dello svantaggio accumulato. Con
i bianconeri che l’otto maggio 2005 si presentarono a San Siro con gli occhi
della tigre uscendo vittoriosi per 1-0 con rete di Trezeguet dal big match
contro il Milan. Successo che in buona sostanza sigillò la pratica campionato
con la Juve che chiuse il 29 maggio 2005 a Torino strapazzando il Cagliari per
4-2 raggranellando complessivamente 86 punti, sette più del Milan e ben
quattordici sull’Inter terza classificata.
Una delle massime
preferite di Gianni Agnelli recitava che una cosa fatta bene può sempre essere
fatta meglio. Ecco che, per tener fede al motto di agnelliana memoria, quel
monolite chiamato Triade in concerto con Fabio Capello cercò di migliorare la Juventus
Campione d’Italia. Squadra alla quale per essere perfetta mancava solo un altro
centrocampista di livello internazionale da affiancare al puma Emerson.
Giocatore che il
tecnico bianconero individuò in Patrick Viera, ventinovenne mediano francese in
forza all’ Arsenal, uno dei centrocampisti più forti del mondo per potenza,
tecnica e personalità. E Luciano Moggi, alias Lucky Luciano, da top player dei dirigenti
sportivi attraverso un’eccezionale operazione di mercato riuscì a metterlo a
disposizione al tecnico di Pieris.
Juventus che con
Camoranesi, Emerson, Viera e Nedved poté schierare una delle mediane più forti
e complete della storia del calcio, per una squadra che venne completata confermando
sia la difesa che l’attacco della stagione passata, aggiungendo a quell’organico
prospetti dal grande futuro quali Giorgio Chiellini, di ritorno dalla stagione
in prestito alla Fiorentina, e il genio e sregolatezza rumano Adrian Mutu.
Come da previsione
quella Juventus divenne una vera e propria schiacciasassi, facendo suo il titolo
di campione d'inverno con quindici vittorie su diciassette gare. Bianconeri che,
a differenza della stagione precedente, non ebbero alcun calo conquistando il
14 maggio 2006 lo scudetto numero ventinove della propria storia. Il secondo consecutivo
per Fabio Capello con 91 punti su 114 disponibili.
Siderale il
distacco sia dall’Inter, seconda staccata di ben 15 punti che con la Roma terza
classificata che chiuse la stagione a meno ventidue dai bianconeri.
Due stagioni
trionfali quelle del tecnico friulano sulla panchina di Madama con la Juventus
capace di mantenere il primato in classifica per 76 giornate consecutive, dal
12 settembre 2004 al 14 maggio 2006.
Una squadra che
senza l’uragano Calciopoli sarebbe stata protagonista di un lungo ciclo di
vittorie grazie ad uno straordinario gruppo dirigente, un grande condottiero in
panchina e sontuosi attori sul terreno verde, capaci questi ultimi di trasferire
sul campo le loro straordinarie qualità tecniche, fisiche e morali.



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