FILOBIANCONERO RACCONTA IL PRIMO SCUDETTO DI ANTONIO CONTE SULLA PANCHINA DELLA VECCHIA SIGNORA

 


Il 19 maggio 2010 Andrea Agnelli assunse la massima carica bianconera con la nomina a Presidente della Juventus. Quarto esponente della dinastia che ha segnato la storia d’Italia, nota a chiunque per importanza, fama, grandezza, senso degli affari, portamento signorile, raffinatezza ed eleganza. Incarico che il giovane imprenditore interpretò all’insegna di un profondo rinnovamento aziendale azzerando gli allora vertici bianconeri rappresentati da Alessio Secco, Renzo Castagnini e Roberto Bettega. Li sostituì con il Direttore Generale Giuseppe Marotta e con il Direttore Sportivo Fabio Paratici, entrambi provenienti dalla Sampdoria. Il primo, dirigente calcistico dal 1976 quando a soli 19 anni divenne responsabile del settore giovanile del Varese. Da lì in poi una continua escalation la sua: direttore sportivo dei lombardi, dirigente del Monza, direttore generale dapprima al Como quindi al Ravenna, al Venezia, all’Atalanta, alla Sampdoria e dal 1° giugno 2010, come detto pocanzi, direttore generale di Madama. Fabio Paratici, ex calciatore che una volta appese le scarpette al chiodo intraprese la strada dirigenziale all'interno della Sampdoria ricoprendo il ruolo di capo degli osservatori, per diventarne successivamente il direttore sportivo agli ordini del direttore generale Giuseppe Marotta, che seguì alla Juventus sempre con la qualifica di DS. La prima stagione di Andrea Agnelli sulla massima poltrona Juventina non fu piuttosto avara in termini di successi sportivi. Con in panchina l'ex allenatore della Sampdoria Luigi Delneri la Juve si dovette infatti accontentare di un deludente settimo posto finale che la lasciò fuori dalle coppe europee e che costò la panchina al tecnico di Aquileia. Totalmente diversa la stagione successiva, 2011-2012, quella nella quale l’otto settembre 2011 venne inaugurata la nuova casa bianconera: lo Juventus Stadium. Serata di festa che fu celerata con un’amichevole tra la squadra di casa e gli inglesi del Notts County, club professionistico più antico del mondo, da cui la Juventus nel 1903 "ereditò" la maglia bianconera. Annata sportiva che al di là del nuovo stadio verrà ricordatala come quella del primo scudetto di Antonio Conte come allenatore bianconero. Con l’ex capitano di più Juventus di Marcello Lippi che proprio in quell’anno fece ritornò alla Vecchia Signora nel ruolo di tecnico voluto direttamente da Andrea Agnelli come il primo pezzo di quel puzzle che si chiamerà scudetto. Il capitano, la bandiera, l'idolo dei tifosi che caldeggiarono fortemente il suor ritorno nei panni di allenatore per poterlo applaudire anche in panchina. Antipatico, duro, altezzoso, pieno di sé, con una smisurata autostima che gli consentì di urlare al mondo le sue sterminate ambizioni e i suoi ingenti obiettivi. “Se in tre o quattro anni non raggiungerò la panchina di una grande, smetterò di fare l'allenatore". Queste le dichiarazioni rilasciate da Conte soltanto tre anni prima del suo approdo sulla panchina di Madama. "Sono tornato a casa, dopo sette anni. Rientrare a Torino da allenatore era il traguardo che mi ero prefissato quando ho iniziato questa carriera". Queste invece le prime dichiarazioni di Conte al momento della sua presentazione come mister dei bianconeri con un contratto che lo andò a legare alla Juventus sino al 30 giugno 2013. Due anni di tempo per fare tornare a vincere la Vecchia Signora grazie ad una strategia di fondo che facendo leva principalmente sulle motivazioni di riscatto di tutti i ventidue della rosa, si basava sul riuscire ad inculcare nella testa dei giocatori l'idea della vittoria come unica cosa possibile. Successo che si poteva ottenere solo attraverso la voglia di essere i migliori. Tecnico salentino che si fece conoscere prontamente dal gruppo. Basti pensare che nel corso dalla tournée a stelle e strisce del luglio 2011, dopo nove ore di volo per raggiungere gli States, alle ore 19,00 locali lasciò alla squadra giusto il tempo per ottemperare alle operazioni di sbarco per poi muoversi velocemente verso il campo d’allenamento dove alle ore 20 in punto la squadra, nonostante l’orario, si mise subito a correre. Trasferta statunitense che si rivelò tutt’altro che un giro turistico dal momento che Conte impose due sedute di allenamento quotidiane senza lasciare semi giornate libere per lo svago dei propri giocatori. Prima seduta alle 10,00, seconda alle 17,00 senza deroga alcuna con l’unico tempo libero quello intercorso tra un allenamento e l'altro. Senza cedere spazio alcuno ai classici eventi collaterali a cui di norma ogni club non si sottrae per dare lustro al proprio brand una volta oltreoceano. Con l’ex capitano bianconero che per dare il buon esempio alla truppa al termine della seduta pomeridiana collezionava giri e giri di campo di corsa a ritmi più che decorosi. Le sedute tattiche venivano svolte rigorosamente a porte chiuse, per non dare alcun vantaggio agli occhi indiscreti di ogni potenziale nemico. Conte sognava la panchina della Juventus, la voleva, la agognava, se l’era guadagnata e pertanto bramava di giocarsela fino in fondo. Insomma, un modo totalmente nuovo di operare sia in campo, con una sorta di lavori forzati scanditi dal nuovo sergente di ferro, che fuori dal campo con una Vecchia Signora che in discontinuità con il recente passato si mosse abbondantemente nella sessione estiva di mercato. Acquistò a parametro zero Reto Ziegler dalla Sampdoria, Michele Pazienza dal Napoli ma soprattutto “il maestro”, l’ex rossonero Andrea Pirlo che alla Juventus vivrà una seconda giovinezza diventandone determinante nel darle geometrie, ordine e qualità al gioco. Altri acquisti furono il terzino svizzero Stephan Lichtsteiner dalla Lazio, l'attaccante montenegrino Mirko Vucinic, proveniente dalla Roma e un poco conosciuto centrocampista cileno, Arturo Vidal, rilevato dal Bayer Leverkusen per 10,5 milioni di euro. Conte nel proprio palmares di allenatore vantava due promozioni dalla B alla A con Bari e Siena, entrambe ottenute con il marchio di fabbrica del modulo di gioco: un iper-offensivo 4-2-4. Principi di gioco molto chiari i suoi, incentrati sull’idea di dominio dell’avversario attraverso un possesso di palla pressochè totale tramite la ricerca di un baricentro di squadra medio – alto. Sistema di gioco che il tecnico salentino mantenne anche una volta approdato a Torino con la sua prima Juventus che esordì in campionato l’undici settembre 2011 allo Juventus Stadium contro il Parma proprio con un 4-2-4. Gigi Buffon a difendere la porta dietro una linea difensiva a quattro composta da destra a sinistra da Stephan Lichtsteiner, Andrea Barzagli, Giorgio Chiellini e Paolo De Ceglie. Il tandem Andrea Pirlo - Marchisio in mezzo al campo e un attacco a quattro composto da Simone Pepe ed Emanuele Giaccherini sule fasce e due punte come Alessandro Del Piero e Alessandro Matri. Fu un trionfo per i bianconeri: 4-1 il risultato finale con reti di Lichtsteiner, Pepe, Vidal (subentrato a gara in corso), Marchisio e un dominio totale per gli interi 90 minuti. Conte impiegò poco a capire che non avrebbe potuto permettersi di tenere in panchina un talento come Arturo Vidal, vera e propria rivelazione di quell’inizio di stagione. Con il cileno che in mezzo al campo correva per quattro, battagliava come un guerriero e aveva piedi da numero dieci. Si convinse quindi a cambiare l’assetto tattico che tante soddisfazioni gli aveva dato negli anni precedenti virando su un 4-3-3 che gli consentì di poter schierare contemporaneamente Pirlo, Marchisio e Vidal stesso. Con i tre che costituirono un centrocampo tra i più forti d’Europa edificato sul “maestro” Pirlo in cabina di regia con al suo fianco due mezzali moderne, di lotta e di governo proprio come Marchisio e Vidal. Juventus che dopo l’esordio vittorioso con il Parma alternò importanti vittorie contro Milan, Fiorentina e Inter, ad una serie di pareggi contro le “piccole” che non esaltarono troppo. Fino ad arrivare alla svolta della stagione che avvenne a Napoli il 29 novembre 2011 con gli uomini di Conte che sotto prima per 2-0 e poi per 3-1, riuscirono a rimontare il doppio svantaggio uscendo dall’allora San Paolo (oggi Diego Armando Maradona) con un 3-3 che consentì loro di mantenere l’imbattibilità stagionale. Ventinove novembre 2011 che rappresentò anche la data nella quale Conte modificò ulteriormente e definitivamente il modulo di gioco della sua Juventus passando dal 4-3-3 a quel 3-5-2 che diede vita alla leggendaria BBC.  Straordinaria linea difensiva composta da Barzagli – Bonucci – Chiellini (oltre che da Gigi Buffon tra i pali) riconosciuta all’unanimità come la retroguardia più forte del primo ventennio degli anni duemila. E fu così che i bianconeri arrivarono alla pausa natalizia in testa alla classifica per laurearsi poi campioni d'inverno con un punto di vantaggio sul Milan e tre sull'Udinese. Fu una lotta gomito a gomito con i rossoneri guidati in panchina da Massimiliano Allegri con il sorpasso bianconero che arrivò nel solo mese di aprile grazie alle vittorie su Napoli e Palermo. E il 3 aprile 2012, proprio in vista dell'importante sfida al "Barbera" del 7 aprile contro il Palermo, prima di iniziare la seduta di allenamento Antonio Conte chiamò a rapporto la truppa radunandola al centro del campo tenendo per dodici interminabili minuti discorso durissimo. Toni decisi da eminente condottiero, volti ad evitare rilassamenti e cali di tensione dal momento che le ultime otto partite, più la finale di Coppa Italia, sarebbero state determinanti per le sorti di quella stagione. “Dobbiamo guardare chi ci sta davanti, perchè abbiamo raggiunto una maturità tale che ce la possiamo giocare fino alla fine. Se vorranno vincere lo scudetto dovranno sputare sangue fino all'ultima partita. Però, per fare questo, non voglio atteggiamenti superficiali". Queste le parole che Conte pronunciò alla squadra lanciando il definitivo guanto di sfida ai rossoneri di Massimiliano Allegri. Partita di Palermo dalla quale la Juventus uscì con un meritato 2-0 grazie alle reti di Bonucci e Quagliarella a cui seguirono il 2-1 in casa con la Lazio, la vittoria in trasferta a Cesena per 1-0 con la trentaquattresima giornata che vide gli uomini di Antonio Conte allungare sul Milan grazie alla vittoria dei bianconeri sulla Roma e alla simultanea sconfitta del Milan col Bologna tra le mura amiche. Ma il calcio si sa, spesso regala circostanze inattese e nella sera del 2 maggio 2012 un clamoroso errore di Gigi Buffon nella gara con il Lecce consentì ai rossoneri di riavvicinarsi pericolosamente alla Juve, portarsi a un solo punto di distacco a due giornate dalla fine. Con la matematica dello scudetto che per i bianconeri arrivò soltanto quattro giorni dopo grazie alla vittoria ottenuta contro il Cagliari sul neutro di Trieste per 2-0 e alla contestuale sconfitta del Milan nel derby della Madonnina. Un ritorno allo scudetto della Vecchia Signora in cui ci fu molto di Antonio Conte, che nel corso della carriera di giocatore ebbe la fortuna di essere allenato da maestri di calcio come Eugenio Fascetti, Carletto Mazzone, Giovanni Trapattoni, Marcello Lippi, Carletto Ancelotti, Arrigo Sacchi. Per sua stessa ammissione “rubò “un po’ da tutti quest’ultimi e proprio dal tecnico di Fusignano imparerà a vivere la professione di allenatore in maniera maniacale, assorbito zero – ventiquattro dal lavoro fino a farla diventare una vera e propria ossessione. Antonio Conte che dopo aver passato notti insonni di un’intera estate a cercare i migliori esterni d’attacco per il suo 4-2-4, non esitò ad abiurare quel suo marchio di fabbrica quando intuì che gli interpreti a sua disposizione avevano la necessità di vestire un abito diverso per poter rendere al meglio. Rivisitò quindi il suo schema tattico prediletto senza però rinnegarne principi e filosofia di gioco, vale a dire quelli imperniati su aggressività, possesso palla, rapidità di esecuzione, baricentro alto, possesso della metà campo avversaria, ritmo, pressing costante e un perfetto equilibrio tra i vari reparti. Un professionista con la “P” maiuscola Antonio, Conte. Un grande studioso di tattica, tecnica, psicologia, preparazione atletica, comunicazione. Approfondimenti che gli consentirono di assumere quel bagaglio culturale necessario per plasmare una straripante Juventus fino a farle assumere le sue stesse sembianze. Quei tratti distintivi rappresentati da una grande personalità e da una trascinante capacità di leadership naturale in grado motivare l’intero gruppo, da cui in tutto il campionato non uscì la benché minima polemica. Né sugli organi di informazione, né tanto meno sul campo. Ma ancor prima capace di riportare sotto la Mole quella straordinaria cultura del lavoro che nel corso degli ultimi anni sembrava essere stata messa sullo sfondo. Così come il senso di appartenenza, l’amore e l’orgoglio di indossare la maglia della Vecchia Signora. Uno dei suoi motti mai dichiarati fu “chi mi ama mi segua”. Ed in effetti chi lo seguì ne trasse grandi benefici, non solo in quella stagione ma nell’intero sviluppo di carriera, al contrario di chi mostrò diffidenza verso i suoi metodi come Krasic, Elia, Ziegler. Giocatori quest’ultimi che vennero relegati in soffitta dal tecnico bianconero proprio perché sintonizzati su altre frequenze. Tecnico che nulla avrebbe potuto fare senza la presenza di grandi uomini ancor prima che campioni. In primis Andrea Pirlo, che il Milan colpevolmente regalò proprio ad una diretta concorrente risolvendole l’annoso problema del facitore di gioco in mezzo al campo. Marchisio e Vidal mezzali incursori d'area oltre che straordinari recuperatori di palloni. Alessandro Matri, autore di dieci gol, non tanti per un attaccante, ma giocatore importantissimo nel creare gli spazi per gli inserimenti dei centrocampisti. Mirko Vucinic, più continuo e dinamico delle precedenti stagioni romane. Leo Bonucci che seppe esaltarsi come centrale nella difesa a tre, stile libero vecchia maniera. Così come importante fu l’apporto dalle cosiddette “riserve”: Emanuele Giaccherini, Martin Cáceres, Marcelo Estigarribia e Paolo De Ceglie. Juventus 2011/2012 che oltre al tricolore conquistò più record quali la più lunga striscia d’imbattibilità in Italia costituita da quarantatre risultati utili consecutivi (quarantadue comprese le quattro partite di Coppa Italia più l'ultima giornata del campionato precedente), venti giocatori mandati in gol e sole venti reti subite, altro record per la Serie A, a 20 squadre.


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