FILOBIANCONERO RACCONTA: ROMA 1996, L’ULTIMA CHAMPIONS VINTA DALLA JUVENTUS
Il 4 giugno 1995 con la vittoria per
3-1 sul Cagliari la Juventus di Marcello Lippi riportò dopo nove anni lo
scudetto a Torino. Giusto il tempo per bagnarlo con un buon spumante piemontese
che la “triade” composta dal vicepresidente Roberto Bettega,
dall'amministratore delegato Antonio Giraudo e dal Direttore Sportivo Luciano
Moggi, in linea con la filosofia secondo cui la Juventus deve essere
protagonista in ogni competizione, si mise al lavoro per impostare la squadra
della stagione successiva stagione.
Annata sportiva quella 1995/’96 che
andava preparata nel migliore dei modi dal momento che la Juventus sarebbe
stata impegnata su più fronti. Serie A e Coppa Italia per bissare scudetto e
Coppa nazionale conquistati l’anno precedente ma anche nella massima
competizione europea, quella Coppa dei Campioni che nel frattempo aveva cambiato
nome diventando Champions League. Torneo dal quale Madama mancava da nove
lunghi, interminabili anni, con l’ultima partecipazione risalente alla stagione
1986/’87 con la Vecchia Signora eliminata agli ottavi di finale dal Barcellona.
Amore mai completamente sbocciato
quello tra la Juventus e la Coppa dalle grandi orecchie. Una prima sconfitta in
finale nell’edizione 1972/ ’73 quando il 30 maggio 1973 allo stadio Stella
Rossa di Belgrado i bianconeri furono sconfitti da un grande Ajax per 1-0. E una
seconda amarissima sconfitta nella stagione 1982/’83 quando pur potendo
disporre del meglio del calcio europeo e partendo da grande favorita la sera
del 25 maggio 1983 disputando una pessima partita contro un tutto sommato
modesto Amburgo la Juventus gettò alle ortiche la sua seconda finale di Coppa
Campioni perdendo contro i teutonici per 1-0. Juventus che riuscì a rifarsi nella
terribile notte dell’Heysel 1985 battendo per 1-0 il Liverpool grazie ad un
calcio di rigore realizzato da Michel Platini, per un trofeo mai goduto
completamente perché macchiato dal sangue dei trentanove morti nella strage
dell'Heysel.
Per essere protagonisti su tre fronti
Luciano Moggi pianificò una campagna acquisti - cessioni in grande stile.
Decise di non rinnovare il contratto a Roberto Baggio, che dopo cinque stagioni
lasciò la Juve per accasarsi al Milan, così come di cedere lo stopper tedesco
Jurgen Kohler, il terzino sinistro Robert Jarni e Alessandro Orlando, tutti
protagonisti della cavalcata trionfale della stagione precedente. A fronte di
queste uscite “Lucky Luciano” si accaparrò la miglior ala italiana, Attilio
Lombardo dalla Sampdoria, il centrocampista serbo Vladimir Jugovic, il terzino-mediano
Gianluca Pessotto, la punta Michele Padovano, il terzino argentino Juan Pablo
Sorin e lo svincolato Pietro Vierchowod, lo “Zar”. Trentaseienne stopper
vecchia maniera, straordinario marcatore espressamente richiesto da Marcello
Lippi per aggiungere alla retroguardia delle sua Juventus quell’esperienza
ritenuta dal tecnico viareggino indispensabile per poter competere in Europa.
Cammino continentale che vide la Juventus
inserita nel Gruppo “C” assiema a Borussia Dortmund, Steaua Bucarest e Glasgow
Rangers. Fu un percorso fenomenale quello degli uomini di Lippi, inaugurato nel
migliore dei modi il 13 settembre 1995 quando sconfissero al Westfalen Stadion
di Dortmund il Borussia con un netto 3-1. Juventus che anche nei successivi
incontri si dimostrò un vero e proprio rullo compressore guadagnandosi la qualificazione
ai quarti di finale come prima del girone con due turni di anticipo.
Il giorno dei sorteggi ai quarti di
finale l’urna non si dimostrò particolarmente benevola per Madama, abbinandole il
sempre temibilissimo Real Madrid. Squadra allenata da Iglesias che poteva
disporre di giocatori del calibro dell’ex bianconero Michael Laudrup, della
stella argentina Fernando Redondo, dell’astro nascente del calcio iberico Raul
González Blanco così come di altri grandi calciatori come nella miglior
tradizione dei blancos.
Gara di andata che si disputò al
Santiago Bernabeu il 6 marzo 1996 con la merengues che dominarono in lungo e in
largo una Juventus ubriacata dalla furia degli spagnoli. Fu soltanto grazie ai
tanti errori sotto porta dei madrilisti e alla serata di grazia di Peruzzi che
la gara terminò con solo un gol di scarto (1-0) a favore dei madrileni.
Passivo che lasciò aperta la
possibile qualificazione alle semifinali demandando tutto alla gara di ritorno in
programma al Delle Alpi il 20 marzo 1996. Juventus che si presentò a
quell’incontro con un atteggiamento coraggioso schierando in prima linea un
tridente formato da Gian Luca Vialli, Alex Del Piero e Michele Padovano. Per il
resto Peruzzi in porta, Torricelli, Porrini, Vierchowod, Pessotto linea
difensiva, Jugovic, Deschamps e Antonio Conte in mediana. Fu una battaglia
all’ultimo sangue quella disputata tra i bianconeri e gli spagnoli mandando a
tabellino un’espulsione per parte: Alkorta per il Real e Torricelli per la
Juve. Con la Vecchia Signora che ebbe la meglio grazie ad una magia su punizione
di Alessandro Del Piero e a un bel sinistro di Padovano, per un 2-0 finale che
significò semifinale.
Dea bendata che in questa occasione si
rivelò decisamente più clemente per la Vecchia Signora che nei sorteggi trovò
l’abbordabile Nantes, con andata prevista a Torino e ritorno in terra francese.
Pima gara che per i bianconeri si rivelò tutt’altro che una passeggiata con i
giallo verdi d’oltralpe decisi a vendere cara la pelle. Juventus che riuscì a sbloccare il risultato
solo dopo quarantanove minuti di gioco con Gian Luca Vialli per poi chiudere la
gara con una sventola da fuori area del serbo Jugovic che andò a togliere le
ragnatele dall’incrocio dei pali della porta difesa dal portiere francese.
Jugovic, centrocampista di lotta e di governo che Moggi aveva voluto a tutti i
costi nel corso della campagna acquisti estiva per rendere più europea la
propria mediana.
Finale di Roma che sembrava essere sempre
più vicina per Vialli e compagni anche se in casa bianconera vi era la piena consapevolezza
che la gara di ritorno sarebbe stata tutta da giocare. E così il 17 aprile 1996
i bianconeri si presentarono al catino della Beaujoire con Lippi che schierò il
suo canonico 4-3-3 con Peruzzi fra i pali, Ferrara, Wiercovood, Carrera e
Pessotto linea difensiva, Di Livio, Deschamps e Conte trio di centrocampo e una
prima linea con il tridente Vialli - Del Piero - Ravanelli. Tattica ancora una
volta coraggiosa quella messa in campo dal tecnico viareggino che portò la Juve
in vantaggio già dopo diciassette minuti grazie ad un gol di capitan Vialli.
Con i francesi che abbastanza inaspettatamente ad un minuto dal termine della
prima frazione di gioco pareggiano i conti con Capron sugli sviluppi di un
calcio d’angolo mandando le due al riposo sul 1-1.
Una Juve mai sazia tornò in campo per
i secondi quarantacinque minuti di gioco con gli stessi occhi iniettati di
sangue con cui aveva iniziato la partita andando a raddoppiare al cinquantesimo
minuto con Paulo Sousa (nel frattempo subentrato a “Pinturicchio”) con un bel
destro su assist di Gian Luca Vialli. Partita apparentemente chiusa ma i transalpini,
anche complice una Juventus che aveva prematuramente messo la partita in
soffitta, prima pareggiarono i conti al 69° con il trequartista Japhet N’Doram,
il loro giocatore di maggior qualità, per poi portarsi addirittura in vantaggio
a dieci minuti dalla fine del match con il subentrante Franck Renou. Ultimo
tratto di gara con qualche apprensione per bianconeri che pur perdendo per 3-2 riuscirono
a passare il turno grazie al 2-0 dell’andata staccando meritatamente il
biglietto per la finale di Roma.
Finale prevista per il 22 maggio 1996
nella meravigliosa cornice dell’Olimpico di Roma. Altra finalista l’Ajax,
campione d'Europa in carica, che aveva corso più di un rischio in un’infuocata
semifinale contro i ben più modesti greci del Panathinaikos soccombendo per 1-0
nella gara d’andata disputatasi ad Amsterdam ma riuscendo poi a ribaltare il
risultato con un perentorio 3-0 in terra ellenica.
Olandesi a cui il santone del calcio
orange Louis van Gaal aveva fornito un’eccellente organizzazione di gioco. Un
3-4-3 con sincronismi perfetti nel quale ogni calciatore conosceva a memoria i
compiti da svolgere attraverso una serie di movimenti talmente automatizzati da
far diventare i lancieri quasi dei danzatori piuttosto che calcatori nelle
serata di maggior vena.
Una squadra costruita su concetti
modernissimi, avveniristici, improntati su una linea difensiva sempre molto
alta, una costante costruzione dal basso con il portiere Van Der Sar chiamato a
parteciparvi in modo attivo, una fase di possesso particolarmente fluente grazie
al grande movimento senza palla di tutti i giocatori. Il tutto condito da ritmo,
corsa e intensità in entrambe le fasi. Due esterni sempre larghissimi, abili sia
nelle corse a campo aperte che nell’uno contro uno, due mezz’ali dinamiche, rapide
e capaci di inserirsi in area avversaria e un trequartista abile ad inventare
assist così come capace nel concludere direttamente verso la porta avversaria.
Due grandi condottieri Louis van Gaal
e Marcello Lippi, i tecnici di Ajax e Juventus, ma dal carattere diametralmente
opposto. Arrogante, spavaldo, gradasso, l’olandese che anche in questa
occasione non si smentì dichiarando che la Coppa dalle grandi orecchie in un
modo o nell'altro avrebbe viaggiato sull’aereo che avrebbe riportato in patria
gli olandesi.
Dotato di una leadership decisamente più
sobria e pragmatica l’italiano che anziché rilasciare dichiarazioni mirabolanti
lavorava e studiava giorno e notte su come poter inibire la perfetta macchina
da guerra olandese per impedirle giocate comode così come il riuscire a non
farle tirare il fiato anche per un solo minuto nel corso della partita.
Lippi quella sera schierò i
bianconeri con un 4-3-3 che prevedeva Angelo Peruzzi in porta, Torricelli terzino
destro, Pessotto terzino sinistro e una coppia d’acciaio composta dai
gladiatori Ferrara – Vierchowod posizionati al centro della difesa. Una mediana
a tre che miscelava tecnica, fisicità, personalità ed esperienza composta dal
francese Didier Deschamps, dal portoghese Paulo Sousa e dal salentino Antonio
Conte. Sousa dei tre rappresentava il facitore di gioco mentre a lati Deschamps
a sinistra e Conte a destra erano i suoi guardaspalle. Davanti, il trio delle
meraviglie, composto dagli occhi della tigre di Gian Luca Vialli,
dall’esuberanza di Fabrizio Ravanelli e dalla classe di Alessandro Del Piero.
Con i tre a non fungere solo da attaccanti ma rappresentando i primi difensori
della squadra grazie al pressing indemoniato con cui attaccavano i portatori di
palla avversari. Tridente che proponeva inoltre una continua girandola di
interscambi di posizione tra i tre attaccanti medesimi per non dare punti di
riferimento agli olandesi, anche se sulla carta Vialli partiva come vertice più
avanzato con Del Piero e Ravanelli ad agire ai suoi fianchi.
Olandesi che risposero con Van der
Sar tra i pali dietro ad un trio di difensori composto da Silooy, Blind e
Bogarde. Silooy, braccetto di destra della difesa a tre, era il difendente che
più di ogni altro rimaneva bloccato nelle retrovie al contrario di Bogarde,
braccetto di sinistra, che aveva licenza di salire per aggiungersi ai centrocampisti
in fase di costruzione della manovra. Danny Blind perno centrale del terzetto
di difesa, agiva a mo’ di libero vecchia maniera, con il doppio compito di
proteggere i compagni di reparto e offrire contestualmente il proprio
contributo allo sviluppo della manovra della squadra.
Il quartetto di centrocampo, disposto
a rombo, prevedeva Frank de Boer come vertice basso; l’uomo da cui partiva la
manovra degli orange grazie alla sua visione di gioco e ad un sinistro
tutt’altro che ruvido. Metronomo al cui fianco si muovevano due stantuffi
inesauribili come Edgar Davids e Ronald De Boer, con il finlandese di classe
cristallina Jari Litmanen libero di muoversi su tutta la trequarti avversaria al
fine di sfruttare la sua grande abilità sia nel fornire assist ai compagni che nell’inserirsi
in area di rigore a supporto del terminale offensivo. Quest’ultimo
rappresentato dal nigeriano Nwankwo Kanu che Louis van Gaal in quella serata
romana preferì al golden boy del calcio olandese Patrick Kluivert, match winner
della Champions dell’edizione precedente. Tridente offensivo che si completò
con l’esterno sinistro Kiki Musampa e con l’ala destra George Finidi, nigeriano
dotato di una corsa straripante. Lancieri che tra le proprie fila potevano
vantare altri giocatori di profilo internazionale quali Overmars, Marcio
Santos, Reuser, e Reiziger che tra squalifiche ed infortuni non poterono
prendere parte a quella finale.
La gara ebbe inizio come da copione
con gli olandesi che si affidarono ai loro schemi ariosi e al possesso palla
mentre la Juve impostò l’incontro su un’impressionante aggressività fatta da un
pressing veemente e da un’intensità superiore a quella dell’Ajax.
L’equilibrio venne rotto solo dopo
tredici minuti di gioco da Fabrizio Ravanelli, uno dei più in palla dei suoi, quando
grazie ad un pressing furioso riuscì a rubare palla a Frank De Boer depositandola
in rete con un destro di rara precisione sferrato da posizione estremamente
defilata. Impetuosa fu la reazione degli olandesi che, complice anche una Juventus
rea di aver abbassato leggermente il baricentro, riuscì a produrre il gol del pareggio
al 41° minuto di gioco con uno dei suoi giocatori di maggior talento, il
finlandese Litmanen. Squadre che andarono al riposo con un 1-1 sostanzialmente
giusto, con Antonio Conte che infortunatosi dovette lasciare anzitempo il campo
al subentrante Jugovic.
I secondi quarantacinque minuti furono
giocati da entrambe le squadre ad altissima intensità con la Vecchia Signora
che non riuscì a raddoppiare anche causa qualche errore di troppo sottoporta.
Imprecisioni più che giustificate dal grande dispendio energetico degli
attaccanti bianconeri a cui Lippi chiese una partita di estremo sacrificio
facendogli inevitabilmente perdere quel pizzico di lucidità in più
indispensabile in fase realizzativa. Punteggio che non cambiò nemmeno nel corso
dei tempi supplementari, con entrambe le squadre che avrebbero potuto sia
vincere che perdere nel corso dei centoventi minuti. Fu quindi la lotteria dei
rigori a decidere questa entusiasmante finale con il serbo Jugovic che si
incaricò di calciare il penalty decisivo per i bianconeri realizzandolo con un
tiro a fil di palo.
E fu così che la Juventus per la
seconda volta nel corso della propria storia divenne Campione d'Europa e Gian
Luca Vialli, uno dei capitani più trascinanti ed emozionali che la Vecchia
Signora abbia mai avuto, poté alzare al cielo la Coppa dalle grandi orecchie. Con
il Vicepresidente Roberto Bettega che visibilmente emozionato al termine delle
ostilità affermò: “Abbiamo atteso a lungo questo momento. Quella del 1985 non
l'abbiamo mai considerata una vera vittoria a causa dell'Heysel.”
Serata romana che oltre a regalare
una gioia immensa a tutto il popolo bianconero raccontò anche due straordinaria
favole sportive. La prima quella di Moreno Torricelli, difensore classe 1970
che soltanto quattro anni prima alternava lavoro e calcio giocando nei
campionati dilettanteschi. Una storia la sua tra le più seducenti dell’intero calcio
italiano. Quella di un falegname della Brianza arrivato nel 1992 alla corte di
Madama su segnalazione di Claudio Gentile dalla Caratese, squadra militante nel
campionato Interregionale. Torricelli che grazie ad una straordinaria
caparbietà riuscì a migliorare i suoi ruvidi piedi al punto tale da meritarsi in
un continuo crescendo di emozioni e affermazioni inattese non solo la maglia
bianconera ma anche quella della nazionale italiana. E in quella serata romana Torricelli
fu uno dei migliori in campo offrendo una prestazione non solo gladiatoria a
livello di impegno e intensità ma anche di ottima qualità, con ripartenze a
tutta fascia da campione navigato. Per Geppetto, questo il suo soprannome, la
finale di Champions contro l’Ajax segnò la definitiva consacrazione nel calcio
dei grandi. L’avverarsi di un sogno, quei miracoli onirici con cui ogni bambino
nutre le proprie nottate fantasticando di approdare al palcoscenico del grande calcio
per poi andare a conquistare il trofeo più ambito: la Coppa dei Campioni.
Ed infine la narrazione
dell’indimenticabile serata di Pietro Vierchowod. Un trentasettenne che dopo
ventun anni di professionismo si tolse la soddisfazione di conquistare il
principale quella Coppa dei Campioni sfuggitagli nel 1992 perdendo con la
Sampdoria dei miracoli di Vujadin Boskov la finale contro in grande Barcellona.
Un gruppo straordinario quello edificato
da Marcello Lippi. Una squadra d’acciaio che in estate aveva deciso di
rinunciare alla classe cristallina di Roberto Baggio per puntare su un mix
composto dalla qualità di giocatori come Ciro Ferrara, Paulo Sousa, Didier
Deschamps, Gian Luca Vialli e Alessandro Del Piero così come dal sudore, dallo
spirito di sacrificio e dalla juventinità di gregari trasformatosi in eroi
quali Torricelli, Di Livio, Pessotto, Padovano, Ravanelli, Conte e altri ancora.
E fu così che undici anni dopo la
tragica notte dell’Heysel la Juventus riuscì finalmente a gioire per il
successo nella Coppa più importante al termine di una “vera” vittoria
conquistata al termine di una battaglia disputata contro un grande avversario, l’Ajax
di Louis van Gaal.



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