FILOBIANOCNERO RACCONTA: JUVENTUS – LIVERPOOL 2-0 FINALE DI SUPERCOPPA EUROPEA 1984/’85

 


L’anno 1985 verrà ricordato come la stagione della più grande nevicata in Italia del ventesimo secolo. Un’ondata di freddo anomalo compì il suo ingresso su tutto il territorio nazionale in un gelido gennaio facendo registrare copiose nevicate con accumuli di neve tra i cinquanta e gli ottanta centimetri e temperature polari di oltre venti gradi sotto lo zero un po’ in tutt’Italia.

E fu così che, il 16 gennaio 1985, una furiosa nevicata dipinse di bianco l'intero nord Italia, con la neve che a Torino superò i trenta centimetri. Data, quest’ultima, non casuale ma quella che la UEFA aveva individuato per la disputa della finale di Supercoppa Europea tra la Juventus, detentrice della Coppa delle Coppe edizione 1983/1984, e il Liverpool, che nella finale di Coppa dei Campioni 1983/1984 aveva avuto la meglio sulla Roma di Niels Liedholm.

Supercoppa UEFA edizione 1984, la decima della storia nonché la prima ad essere disputata in finale unica anziché nelle classiche due gare di andata e ritorno. Formula innovativa per il calcio dell’epoca a cui si arrivò al termine di una lunga e travagliata trattativa tra il presidente della Juventus Giampiero Boniperti e il general manager del Liverpool Peter Robinson. Con le due squadre che a causa dei tanti impegni nazionali e internazionali trovavano un’oggettiva difficoltà nel reperire due date utili per entrambi i club.

Alla fine, furono gli inglesi a fare un passo indietro accettando di disputare la manifestazione in partita unica, sia per una questione di business che per la supponenza con cui guardavano al calcio italiano, ritenendo il calcio d’oltremanica nettamente superiore a quello che si giocava nel bel paese.

Uefa che fissò Torino come sede dell’incontro e il 16 gennaio 1985 alle 20,30 come data e ora per la disputa della partita. Giorno in cui il capoluogo piemontese mostrava le sembianze più una città scandinava che mediterranea, talmente era stata ricoperta di neve. Alla pari dell’intera penisola italiana, che da giorni era compressa in una terribile morsa di gelo, ghiaccio e neve.  

E proprio questa emergenza climatica fece rimanere in forse la gara fino a poche ore prima del fischio d’inizio, con la partita che venne giocata solo grazie all’ostinazione di un piemontese dal carattere d’acciaio, Giampiero Boniperti. Il Presidente di Madama quella partita la voleva giocare a tutti i costi perché, da grande estimatore del calcio inglese, nutriva l’assoluta convinzione che quel confronto si sarebbe dimostrato di grande utilità alla sua Juventus per crescere, rappresentando il miglior viatico per puntare al bersaglio grosso: la Coppa Campioni.

Per riuscire a scongiurare il rischio rinvio, il Presidente bianconero tenne alta la bandiera dell’efficienza sabauda mettendo in moto una perfetta macchina da guerra formata da: protezione civile, forze dell’ordine, addetti aeroportuali e diverse centinaia di volontari spalaneve. Task force grazie alla quale vennero resi agibili sia il campo del Comunale (rimasto coperto dai teloni fino a poche ore dal match) che le gradinate dello stadio stesso, che quella sera ospitarono oltre 65mila spettatori. Con la curva Filadelfia pronta a dare il massimo di sé per sostenere al meglio i propri beniamini attraverso fumogeni, torce, bandieroni striscioni, tamburi ma soprattutto con cori a squarciagola.

Macchina organizzativa che si occupò anche di liberare le vie d’accesso allo stadio, consentendo a migliaia di macchine e alle centinaia di pullman provenienti da tutta Italia di raggiungere Torino, così come di pulire la pista dell’aeroporto di Caselle per consentire l’atterraggio dell’aereo che trasportava la quadra proveniente da oltremanica. Il tutto unito da un pizzico di fortuna, elemento che notoriamente non può mancare nelle grandi imprese ma che di norma aiuta gli audaci, con la neve che smise di cadere poche ore prima dell’inizio della partita.

Liverpool e Juventus: squadre che in quegli anni rappresentavano due tra i più grandi club continentali. Con le squadre britanniche che a partire dagli anni ’70 stavano vivendo un vero e proprio periodo di grazia con successi a ripetizione in tutte e tre le principali competizioni europee. Vittoria della Coppa Uefa da parte dell’Arsenal 1970, del Leeds United nel 1971, del Tottenham Hotspur nel 1972, del Liverpool nel 1973 e nel 1976, dell’Ipswich Town nel 1981, e ancora del Tottenham Hotspur nel 1984. Così come, riguardo alla Coppa delle Coppe, vittoria del Manchester City nel 1970, del Chelsea nel 1971, dei Glasgow Rangers nel 1972 e dell’Aberdeen nel 1973. E per finire, con la massima competizione Europea, la Coppa dei Campioni, vinta dal Liverpool sia nel 1977 che nel 1978, dal Nottingham Forest nei due anni successivi (1979 e 1980), ancora dal Liverpool nel 1981, dall’Aston Villa nel 1982 e per finire ancora una volta dai “Reds” nella stagione 1983/84 quando sbancarono l’Olimpico di Roma ai calci di rigore ai danni dei giallorossi padroni di casa.

Periodo, quello compreso fra l’inizio degli anni ’70 e la metà degli anni ’80 del secolo scorso, nel quale, a differenza dei club britannici, i club italiani non se la passavano affatto bene. Con la Juventus che riuscì a riportare un trofeo europeo in Italia vincendo la Coppa delle Coppe 1983/84 dopo un’astinenza di ben sei anni dall’ultimo trofeo continentale conquistato sempre dalla squadra della famiglia Agnelli, con la Coppa Uefa della stagione 1976-1977.

Finale di Supercoppa Europea nella quale gli inglesi si presentarono forti di una maggior esperienza in campo internazionale, avendo alle spalle due vittorie in Coppa Uefa, quattro in Coppa Campioni, ed una proprio nella Supercoppa europea. Una serie di titoli e trofei che avevano consentito ai Reds di entrare nel novero dei leggendari club europei così come di essere considerati i grandi favoriti dell’importante trofeo pur essendo in formazione rimaneggiata a causa di due importanti assenze. La mezzala tutta corsa Sammy Lee, reduce da infortunio e disponibile solo in panchina ma non al meglio, e soprattutto dell’attaccante Kenny Dalglish, pericolosissimo bomber scozzese che formava una straordinaria coppia d’attacco con il gallese Ian Rush. Gallese particolarmente apprezzato da Giampiero Boniperti, quest’ultimo, che fu presente alla gara anche se reduce da un recente intervento al menisco e quindi con un ginocchio malconcio.

Bianconeri che pur non avendo ancora raggiunto una tale dimensione europea si presentarono a quell’appuntamento al gran completo, potendo schierare la formazione-tipo. Luciano Bodini tra i pali, che in quell’anno si divideva il ruolo di portiere titolare con Stefano Tacconi e una linea difensiva composta dai marcatori Luciano Favero e Sergio Brio, dal libero capitan Scirea e dal terzino sinistro d’attacco Antonio Cabrini. Massimo Bonini e Marco Tardelli a supporto del regista a tutto campo Le Roi, Miche Platini e un attacco a tre che prevedeva da destra a sinistra l’ala Briaschi, il centravanti Paolino Rossi e come esterno sinistro sulla carta ma in realtà libero di spaziare a tutto campo il “bello di notte” Zibì Boniek.

In panchina, pronti a dare il proprio supporto il secondo portiere Tacconi, il baby difensore Nicola Caricola, e tra centrocampisti dotati di caratteristiche diverse: l’esterno di centrocampo Bruno Limido, il factotum Cesare Prandelli e il ragioniere del centrocampo Beniamino Vignola. Con quest’ultimo, grande protagonista della vittoria dei bianconeri in Coppa delle Coppe nella finale di Basilea contro il Porto dell’anno precedente, presente solo in panchina a causa di un infortunio occorsogli nei giorni precedenti la gara a causa di un clamoroso scivolone sotto la doccia che gli procurò una ferita al gomito destro, curata con tre punti di sutura.

Il Liverpool del tecnico Joe Fagan rispose con il seguente undici, in rigoroso ordine di numero di maglia: Bruce Grobbelaar, capitan Phil Neal, Alan Kennedy, Mark Lawrenson, Steve Nicol, Alan Hansen, Paul Walsh, Ronnie Whelan, Ian Rush, Kevin MacDonald e John Wark. In panchina Jim Beglin, Bob Bolder, Gary Gillespie, Sammy Lee e Jan Mølby.

Arbitro dell’incontro fu il tedesco Dieter Pauly, che per l’occasione impose alle due squadre l’obbligo di un pallone di colore rosso, maggiormente visibile nel campo imbiancato da neve e ghiaccio. Terreno di gioco che in linea teorica avrebbe potuto alterare i dettami tecnici della gara spostandoli a favore degli inglesi, più abituati a giocare su campi di quel genere.    

Il Trap preparò la partita con un piano tattico molto pragmatico, basato su tre rigide marcature a uomo a tutto campo. La prima, quella che prevedeva la presenza di Sergio Brio su Rush, Scarpa d'oro 1984: con lo stopper bianconero che s’esaltava quando sapeva di dover marcare grandi centravanti, proprio come Ian Rush. Gallese che Brio era convinto di poter annullare esattamente come già fatto con altri grandi centravanti di caratura internazionale, quale ad esempio il potentissimo tedesco Horst Hrubesch. La seconda marcatura a tutto campo prevista dal Trap fu quella con cui Massimo Bonini doveva tenere a bada il talentuoso John Wark, trequartista di grande qualità che con il suo l'Ipswich non solo aveva conquistato la Coppa Uefa nel 1977 ma si era pure laureato capocannoniere della manifestazione mettendo a segno ben 14 reti. La terza, con Luciano Favero a francobollare Paul Walsh che in quella sera fungeva da partener d’attacco di Ian Rush. Per il resto, il tecnico di Cusano Milanino scelse come piano di gara il lasciare sfuriare il Liverpool mantenendo la squadra piuttosto bassa, facendo tanta densità a centrocampo e utilizzando come principale arma di offesa un contropiede orchestrato a meraviglia da Michel Platini che con i suoi millimetrici lanci doveva innescare le improvvise folate in avanti del trio d’attacco Briaschi – Rossi – Boniek.

La gara rimase in sostanziale equilibrio fino a che, a pochi minuti dallo scadere della prima frazione di gioco, la Juventus passò in vantaggio grazie ad un lampo di Boniek che, intercettando una palla vagante, galoppò verso la porta difesa da Grobbelaar battendolo con un perfetto diagonale sinistro. Bianconeri che rientrarono quindi negli spogliatori per rifiatare e riscaldarsi con un bel tè caldo in vantaggio di un gol.

Al rientro in campo la Juventus, galvanizzata dal vantaggio, riuscì a prendere un sempre maggior possesso del gioco con il Liverpool totalmente incapace di rendersi pericoloso dalle parti di Bodini. Predominio territoriale che si concretizzò con la rete del definitivo 2-0, arrivata ancora grazie al polacco Boniek che, liberatosi dalla marcatura della difesa inglese, depositò in rete un cross di Briaschi chiudendo di fatto la gara.

Zbigniew Boniek, che l’Avvocato Gianni Agnelli definì “il bello di notte” grazie a grandi prestazioni fornite proprio nelle serate di Coppe Europee. Con il polacco che ancor’oggi ricorda un simpatico aneddoto dell’Avvocato che, nel corso di una cena di gala a New York, presentando i suoi gioielli al Segretario di Stato statunitense Henry Kissinger disse: “questo è il bello di giorno” riferendosi a Michel Platini, “questo invece è bello di notte” proprio in riferimento al campione polacco.

Serata che vide la Juventus prevalere anche grazie alle prestazioni più oscure ma non meno importanti di una serie di “gregari” di lusso quali Sergio Brio, implacabile su Rush, attaccante moderno, completo, che non poteva essere perso di vista un attimo dal momento che gli bastava una frazione di secondo per essere pericoloso. Luciano Favero, perfetto su Walsh e Massimo Bonini che non fece toccare palla a Wark. Da menzionare inoltre l’illuminata regia di Michel Platini, così come la partita di grande corsa e sacrificio di un Marco Tardelli, straordinario nel cantare e portare la croce.

Bianconeri che, in quel gelido 16 gennaio 1985, conquistarono la prima Supercoppa UEFA della loro storia, divenendo il primo club italiano a scrivere il proprio nome nell'albo d'oro di tale manifestazione. Una Juventus che, con il pieno di autostima derivante da questa vittoria, puntava dritta all’unico trofeo che ancora mancava alla bacheca della società: la Coppa dei Campioni.

Con il destino che fece rincontrare nuovamente Juventus e Liverpool nella finale della massima competizione continentale, in un terribile 29 maggio del 1985. Quello della tremenda serata dell'Heysel che con i suoi trentanove morti di cui 32 italiani rappresentò la notte più buia del calcio mondiale.  

Una pagina di storia che nessuno avrebbe mai voluto scrivere, con il Presidente bianconero Andrea Agnelli che nel 2012 introdusse un totem commemorativo di circa tre metri d’altezza all'interno del J-Museum, incoronato con la scritta “In Memory” ("In memoria") dedicato proprio al ricordo delle tante, troppe vittime di quella drammatica serata belga. 


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