FILOBIANCONERO RACCONTA JUVENTUS – RIVER PLATE 1-0. LA SECONDA COPPA INTERCONTINENTALE DI MADAMA

 


Nell’anno 1996, in un’Italia che spostò il proprio asse politico a sinistra con la vittoria dell’Ulivo di Romano Prodi nelle elezioni politiche, tre fatti di cronaca scossero profondamente l’opinione pubblica. Il devsatante incendio che incenerì il teatro La Fenice a Venezia, il proscioglimento di Pietro Pacciani dopo 1100 giorni di prigionia da presunto colpevole di più omicidi addebitati al Mostro di Firenze, e l’arrestato di Giovanni Brusca, riconosciuto come la mente della Strage di Capaci. Attentato di stampo terroristico-mafioso quest’ultimo, compiuto da Cosa Nostra il 23 maggio 1992, in cui persero la vita il magistrato antimafia Giovanni Falcone e altre quattro persone: la moglie Francesca Morvillo (anch’essa magistrato) e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. A Roslin, un villaggio di circa 1.650 della Scozia sud-orientale venne clonata la pecora Dolly, il primo mammifero riprodotto il laboratorio partendo da una cellula vivente e negli Stati Uniti d’America Bill Clinton fu rieletto Presidente ignaro che solo un paio d’anni dopo sarebbe scoppiato il sexgate, lo scandalo che lo coinvolse a causa di un tradimento extraconiugale con Monica Lewinsky, stagista ventiduenne della Casa Bianca. Due grandi sportivi fecero parlare di sé oltreoceano: Michael Johnson battendo per due volte il record del mondo nei 200 metri, Mike Tyson riconquistando il titolo dei pesi massimi sconfiggendo al terzo round Frank Bruno. In Italia iniziò a farsi strada il nome di Valentino Rossi con l’esordio in classe 125, e la Juventus vinse la sua seconda Champions League dopo un’entusiasmante finale disputata contro l’Ajax di Louis Van Gal. Una Juventus costruita a tavolino dalla “triade” Giraudo – Moggi - Bettega e sul campo dal tecnico viareggino Marcello Lippi. Un visionario quest’ultimo capace di far giocare a Madama una calcio avanti almeno dieci anni. Aggressivo, colto, evoluto, raffinato, basato sulla valorizzazione del talento e sulle idee più che su moduli preconfezionati. Juventus che nell'estate 1996 fu fortemente rinnovata rispetto a quella che solo pochi mesi prima aveva vinto la Champions League, nel segno dell’idea illuminante che bisogna cambiare quando si vince e non quando si arriva a fine ciclo. Partenze dolorose come quella di capitan Vialli al Chelsea, del suo compagno di reparto Fabrizio Ravanelli (ceduto al Middlesbrough), del metronomo portoghese Paulo Sousa (direzione Borussia Dortmund) e dei difensori Massimo Carrera e Pietro Vierchowod in uscita con direzione rispettivamente Bergamo e Perugia. Cessioni compensate dall’arrivo a Torino del cavallone croato Alen Boksic dalla Lazio, di tre giovani promesse del calcio italiano come Christian Vieri, Nicola Amoruso, Mark Iuliano, del difensore centrale uruguaiano Paolo Montero e della “chicca” francese Zinedine Zidane, poeta del centrocampo in arrivo dal Bordeaux. Vittoria quella del 22 maggio 1996 allo stadio Olimpico di Roma contro l'Ajax che consentì alla Juventus di andarsi a giocare contro gli argentini del River Plate la Coppa Intercontinentale a Tokyo, undici anni dopo averla vinta proprio contro un’altra squadra argentina, l’Argentinos Juniors. River Plate, allenato dalla nostra vecchia conoscenza Ramon Diaz, che arrivò a quella finale dopo aver avuto la meglio dei colombiani dell’America de Cali grazie ad una doppietta di Hernan Crespo nella gara di ritorno giocatasi al Monumental di Buenos Aires. Una squadra tutt’altro che semplice da affrontare che annoverava tra le proprie fila fior di giocatori quali Pablo Aymar, trequartista di grande qualità, Matias Almeyda mediano di garra e corsa, il “Principe” Enzo Francescoli, e la punta Julio Cruz, “El Jardinero”. Il 26 novembre 1996 alle 19,10 di Tokyo (11,10 nel Bel Paese) allo Stadio Nazionale di Tokyo, Marcello Lippi propose una Madama vestita con un 4-3-1-2 di lotta e di governo. Peruzzi tra i pali, Torricelli e Porrini terzini, Ferrara e Montero difensore centrali. Deschamps mediano davanti alla difesa con ai suoi lati Angelo Di Livio e Vladimir Jugovic a supporto di una prima linea composta dal tandem d’attacco Del Piero – Boksic con Zizou Zidane libero di inventare alle loro spalle. 4-3-1-2 anche per Ramon Diaz con Bonano in porta, Diaz e Sorin terzini, Ayala e Berizzo al centro della difesa. Montserrat, Astrada, Berti in mezzo al campo, Francesoli trequartista, Cruz e Ortega di punta. Disposte a specchio le due squadre iniziarono la partita studiandosi vicendevolmente con Marcello Lippi e Rampon Diaz che sembravano giocare più una partita a scacchi che di football. Tensione che si evidenziò sia con qualche errore tecnico di troppo da ambe le parti che da “entrate” non propriamente ortodosse da parte dei duri difensori argentini. Mammano che passarono i minuti fu la Juventus ad alzare progressivamente il baricentro, con gli uomini di Lippi che presero possesso della metà campo avversaria prendendo in mano il pallino del gioco. Con Boksic bravo a svariare su tutto il fronte d’attacco per liberare spazi per gli inserimenti dei compagni, ma troppo impreciso sotto porta e con il fantasma della regola non scritta “gol sbagliato, gol subito” che, mammano passavano i minuti, iniziava ad aleggiare sul capo della Vecchia Signora. A dieci minuti dalla fine il risultato era ancora inchiodato sullo 0-0 e tutto lasciava presagire ad una replica del 8 dicembre 1985 quando Juventus ed Argentinos Juniors andarono prima ai tempi supplementari e poi ai calci di rigore. Bianconeri che però, in quei ventotto mesi di cura Lippi (iniziata nel luglio 1994) avevano maturato non solo una straordinaria autostima ma anche l’assoluta consapevolezza della propria forza. Certi di poter raggiungere l’obiettivo che si erano prefissi, con calma e pazienza attesero il momento buono che arrivò al minuto 81 quando Alex Del Piero decise che era arrivato il momento di consegnarsi alla storia. Soldatino di Livio, uno dei migliori in campo in quella finale, si occupò di battere un calcio d’angolo che Boksic deviò quel tanto necessario per far arrivare la sfera sui piedi di Pinturicchio che dopo aver addomesticato il pallone infilò Bonano sul palo più lontano con un tiro di classe ed eleganza capace di risolvere una partita che sembrava non volersi sbloccare. Gli argentini ebbero nove minuti di tempo più recupero per pareggiare i conti. Ci provarono con tutte le loro forze ma in fortino bianconero resse grazie alla perfetta fase difensiva organizzata da mister Lippi e la Juventus per la seconda volta nella sua storia salì sul tetto del mondo. Lo fece al termine di una partita tatticamente perfetta, intensa, coraggiosa, con l’unico neo delle troppe occasioni sbagliate che avrebbero potuto costarle caro. 26 novembre 1996: giorno in cui mentre gli italiani si apprestavano ad andarsene in pausa pranzo Alessandro Del Piero si autoproclamò imperatore del Giappone entrando per sempre nell’anima di tutti i gobbi del mondo. Champions League e Coppa Intercontinentale nello stesso anno solare, un’annata magica all’interno di un ciclo vincente, sapientemente costruito a tavolino dalla triade Giraudo – Moggi Bettega e sul campo da Marcello Lippi. Una vera e propria corazzata quella Juventus, composta da un solidissimo zoccolo duro di juventinità. Un perfetto mix tra gregari, campioni, un quantitativo di personalità impressionante, un condottiero in panchina e un ventiduenne di Conegliano, di nome Alessandro e di cognome Del Piero, ad illuminare le serate di quella grande squadra. Una squadra capace soltanto sei mesi prima di conquistare la Champions League per entrare di diritto nell’albo delle squadre leggendarie dopo questa straordinaria vittoria.

 

 

 

 


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