3-5-2, 4-3-3, 4-2-3-1… siamo sicuri che sia il modulo ciò che più conta nel calcio?

 


Di Filippo Vagli 

Sempre più spesso nei talk show calcistici sentiamo parlare di moduli, di sistemi di gioco, di schieramenti tattici, alludendo ad essa come alla panacea di tutti i mali. 
Non solo. Anche al bar, con gli amici, la maggior parte delle disquisizioni vertono su: "io avrei giocato col 4-2-3-1, non col 4-3-3", "a me la difesa a tre non piace”… 
Ma siamo proprio convinti che il calcio sia questo?  
Che tutto si riduca a tre, quattro numeri, piuttosto che ad un campetto disegnato su un foglio di carta? 
Il modulo nel calcio è la disposizione statica in campo dei giocatori in fase di non possesso di palla.
Peccato che non appena l’arbitro fischia e la palla incomincia a rotolare sul prato, il modulo smette di esistere perché i giocatori si muovono
Per quale motivo dovremmo quindi attribuire tanta importanza a un qualcosa che esiste solo in linea teorica e che termina nell’esatto momento in cui il direttore di gara decreta l’inizio della contesa?
Il calcio più che di moduli è fatto di concetti e principi, attraverso cui si cerca di dominare spazio e tempo mettendo i giocatori nella miglior condizione per far sì che possano rendere al massimo delle loro potenzialità. 
Un allenatore può conoscere a memoria tutti gli schemi e i moduli di gioco esistenti, ma alla fine della fiera sono sempre gli interpreti a determinare il risultato di una partita
Sono loro gli attori protagonisti del football. 
Quelli che attraverso il loro talento, le loro giocate determinano vittorie e sconfitte
Ecco perché chi non ha giocatori di qualità, difficilmente potrà vincere qualcosa di importante. 
Certo, potrà conquistare qualche “tappa”, ma mai il “giro d’Italia”
Dove qualità sta per tecnica, senso tattico, fisicità, personalità, mentalità vincente, leadership. 
Ciò non significa che l’allenatore non conti nulla; tutt'altro. 
Al tecnico spetta un compito importantissimo: quello di permettere ad ogni interprete di esprimersi al meglio.
Come?
Somministrando all’atleta nozioni tecnico – tattiche, allenando il suo corpo con esercizi funzionali a trasformarlo in una macchina da guerra, ma ancore prima mentalizzandolo attraverso una relazione positiva volta a sviluppare abilità psicologiche che, unite alle performance fisica, possano essergli d’aiuto a raggiungere il picco prestativo. 
Compito dell’atleta è esprimere il proprio potenziale, quello dell'allenatore è consentire all’atleta stesso di esprimere al meglio il suo talento. 
Cosa che ogni tecnico ottiene proprio attraverso la capacità di relazione. Ovvero la capacità di entrare nella testa di ogni singolo atleta, di gestire simultaneamente atleta e uomo.
E’ qui che l'allenatore fa la differenza. 
Nel quantitativo in cui riesce a far sentire l'atleta in relazione con lui, ispirandolo e motivandolo, non nel mettere in campo la squadra con il 4-3-3 piuttosto che con il 3-5-2 o il 4-2-3-1.  
Non a caso ogni allenatore conosce a memoria schemi, concetti, principi di gioco, ma spesso accade che la stessa squadra allenata da allenatori differenti fornisca risultati diversi.
Così come di di allenatori da divano ne esistono più che di stelle nella Via Lattea mentre di allenatori vincenti ce ne sono pochissimi. 






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