L'EDITORIALE DI FILIPPO VAGLI: BASTA DIVISIONI, PENSIAMO SOLO AD AMARE LA JUVENTUS

 



Amare la Juventus non è solo il seguirla e il tifarla nei momenti di gloria ma un legame profondo che va ben oltre i risultati sul campo.

Quello stato d’animo dove ogni gol segnato diventa una festa così come ogni sconfitta sfocia in un lutto.

Amare la Juventus non può dipendere dal numero delle vittorie, anzi, il tifoso ama ricordare anche i momenti in cui ha pianto per una sconfitta in finale piuttosto che per un campionato gettato alle ortiche.

Amare la Juventus è un sentimento che nasce da piccoli e che nel corso degli anni si sviluppa diventando parte formativa della nostra identità.

La Juventus rappresenta la nostra seconda famiglia, il focolare domestico, un caposaldo che ci accompagna nelle gioie e nelle delusioni della vita.

Il momento in cui tradizione e innovazione si incontrano mantenendo inalterati gli infinti riti che ripetendosi come un ritornello si trasformano in casa, famiglia, comunità. 

Così come lo sono i lunghi viaggi in direzione Torino con rientro a notte fonda per poi andare in fabbrica o in ufficio dopo un paio d'ore di sonno.  

Il punto, la virgola, il valore demarcativo dei nostri confini.

Il piacere di sentirsi parte di un gruppo a costo di sacrificare una parte di sé.

Un ponte che unisce passato, presente e futuro.

Un cordone ombelicale mai reciso che ha trovato il modo non solo per vivere di vita propria ma resistendo al tempo, alle distanze, alle influenze, alle pressioni.

Il "fil rouge" capace di unire generazioni diverse che non avrebbero altrimenti mai trovato un terreno comune su cui dialogare.

Una realtà talmente trasversale da unire personaggi agli antipodi tra loro quali Palmiro Togliatti e Tommaso Buscetta.

Togliatti che sussurrò a Pietro Secchia che "non si può fare la rivoluzione senza conoscere il risultato della Juve" e l'Avvocato Agnelli che intervistato da Enzo Biagi in riferimento al pentito di mafia Buscetta disse: "essere juventino è l'unica cosa di cui non dovrà pentirsi" 

Amare una squadra di calcio significa condividere emozioni e creare legami e ricordi resistenti a tutto e a tutti.

Boniperti, Trapattoni, Zoff, Bettega, Anastasi, Causio, Gentile, Cabrini, Scirea, Tardelli, Platini, Paolo Rossi hanno rappresentato il motivo per cui sono diventato tifoso di Madama .

Così come Baggio, Del Piero, Zidane, Nedved, Tévez, Pogba, Dybala lo sono stati per le successive generazioni.

Tutto ha inizio con l'esaltazione a mo' di ubriacatura per un singolo calciatore ma nel tempo diventa un sentimento maturo e consapevole fino a tramutarsi nella famiglia che ci si sceglie.

Un "nido" che al pari di una famiglia naturale è capace di infondere senso di comunione, condivisione, appartenenza e identità come se fosse una questione di DNA.

In ogni famiglia, a nessun padre o madre di Paolo piuttosto che di Marco o Elisabetta verrebbe in mente di coniare gli acronimi #Paoloout, #Marcoout, #Elisabettaout.

Cosa che invece noi facciamo in riferimento a nostri giocatori, allenatori, dirigenti.

E allora mi chiedo: siamo veri tifosi?

Quella che chiamiamo la nostra squadra del cuore è veramente la nostra famiglia allargata?

Non si tratta di dare patenti di tifo ma di ribadire che, ciò che veramente contraddistingue la passione per una squadra, è l'amore incondizionato, la fedeltà assoluta, una di quelle certezze che non barcollano nemmeno davanti ai momenti più bui.

Dinamiche che devono restare nelle logiche dello sport, senza odiare o tifare contro qualcuno, soprattutto verso un nostro fratello.  

Ognuno di noi manifesta il tifo per la propria squadra nei modi più diversi: c'è chi va allo stadio ogni domenica, chi segue la squadra in trasferta, chi colleziona maglie, gadget, feticci bianconeri. Non esiste un modo migliore rispetto ad altri.

Tutti vanno rispettati allo stesso modo perchè la passione per una squadra unisce persone di tutte le età, estrazione sociale, background e rappresenta uno straordinario veicolo di valori positivi e di inclusione sociale.

Un viaggio emozionale che arricchisce le nostre esistenza, donandoci i valori della fedeltà, della devozione, della fiducia e della collettività.

Tifare Juve significa sentirsi parte sì di una storia vincente ma tutt'altro che comoda.

Appartenere ad una comunità che unisce e divide allo stesso tempo e che è in guerra con quei due terzi di italiani che prima ancora di tifare per le proprie squadre del cure "odiano" la Juventus, dalla quale sono ossessionati.

Per quanto mi riguarda, più aumentano le difficoltà, gli attacchi, le accuse e le allusioni, maggiore diventa il legame che mi unisce a questo grande club.

Così come ogni avversità che riguardi Madama mi convince sempre più di essere dalla “parte giusta”.

E allora smettiamola con le divisioni interne.

Smettiamola di tifare per le nostre idee.

Mettiamoci alle spalle gli #aout.

Siamo tutti parte della grande famiglia bianconera con un legame profondo che affondando le radici nell’infanzia e sviluppatosi nell’arco dell’intera vita ci accompagnerà FINOALLAFINE.


Filippo Vagli FiloBianconero 

 






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