FABRIZIO RAVANELLI: «LA JUVENTUS DEVE RITROVARE IL SENSO DI APPARTENENZA. ALLEGRI HA MIGLIORATO IL RENDIMENTO DI VLAHOVIĆ»

 


Di Stefano Dentice

Dal 1992 al 1996 ha vestito la maglia della Juventus, una vera e propria seconda pelle per lui. Con la casacca bianconera ha vinto due scudetti, due coppe Italia, due supercoppe italiane, una Coppa Uefa, ma soprattutto la Champions League nel 1996 che lo vide protagonista assoluto anche in finale contro l’Ajax, all’Olimpico di Roma, dove segnò il momentaneo 1-0. Fabrizio Ravanelli è stato uno fra i più grandi attaccanti della Juve degli ultimi trent’anni. Grande leader, calciatore dalla spiccata personalità dentro e fuori dal campo, brillava per la sua buonissima tecnica individuale, per il suo potente e preciso mancino dalla media-lunga distanza, per la sua esplosività fisica e atletica in progressione e per il suo perentorio colpo di testa. A questo abbinava un trascinante temperamento, spirito d’abnegazione e, innanzitutto, un commovente attaccamento alla maglia e un viscerale amore per i colori bianconeri che hanno fatto di lui un autentico idolo del popolo juventino. Insieme a Gianluca Vialli e ad Alessandro Del Piero, sotto la sapiente e sicura guida di Marcello Lippi, formava un trio stellare, uno fra i migliori tridenti d’Europa degli anni Novanta. Oggi “Penna Bianca” è un ottimo opinionista presente in svariati programmi sportivi di Mediaset, TVPLAY e non solo. Sempre più innamorato della Vecchia Signora, esprime il suo parere sulla stagione bianconera fino a questo momento.

La Juventus, grazie al 2-1 casalingo dell’Atalanta con la Roma, pur pareggiando 1-1 all’Allianz Stadium con la già retrocessa Salernitana, ha aritmeticamente ottenuto con due giornate d’anticipo l’obiettivo principale della stagione, ovvero la qualificazione per la prossima Champions. A tuo giudizio, perché la Juve ha faticato così tanto per guadagnarsi l’accesso nell’Europa che conta?

«È difficile dire quale sia stata la motivazione di un girone di ritorno così complicato, non da Juve. È logico che viene da farsi diverse domande: una che la Juventus aveva over-performato nel girone d’andata, perché si era creata una mentalità incredibile e tutti lottavano fino alla fine. Poi quando sono venute a mancare un po’ di certezze è arrivato qualche risultato negativo, come il pareggio con l’Empoli (1-1 all’Allianz Stadium, ndr) e subito dopo la sconfitta con l’Inter (1-0 a San Siro, ndr). Da lì è sembrato come se all’interno del gruppo fosse nata un’idea di non riuscire a combattere con i nerazzurri. In quel momento, forse, nello spogliatoio è aleggiata un po’ di superficialità che poi penso si sia tramutata in tensione, portando i giocatori a non crederci più e a non avere più quell’attenzione ai piccoli dettagli che fino a quel momento aveva fatto la differenza, quindi a perdere un po’ di fiducia in loro stessi. Dopo le critiche sono aumentate, è mancata un po’ di personalità nel gruppo e si sono verificati tutti i problemi. È ovvio che questo girone di ritorno sia stato veramente non da Juventus, per cui credo che queste siano state le motivazioni relative a tutte le problematiche che ha avuto la Juve nella seconda parte di stagione. È anche vero che la partita con la Salernitana, iniziando da Allegri, dalla società fino a tutti i giocatori, è stata davvero deludente per atteggiamento, mancanza di cattiveria e per la fragilità nei duelli. Comunque, la cosa più importante è che oggi la Vecchia Signora sia nella prossima Champions League e che si appresterà a lottare con l’Atalanta per vincere un trofeo che sarebbe importantissimo per il club».

Valutando la qualità della rosa della Vecchia Signora di questa annata, ritieni che l’attuale quarto posto in classifica rispecchi il valore della squadra oppure pensi che si sarebbe potuto e dovuto fare molto di più?

«Quando giochi nella Juventus, logicamente lo fai per vincere. Ma bisogna dire anche la verità, cioè che quest’anno, in un campionato del genere, c’erano squadre molto più preparate. Però, vedendo il rendimento del girone d’andata, c’è stata davvero una grande involuzione della squadra. Quindi mi sarei aspettato molto di più da tutti in un girone di ritorno non come quello d’andata, ma ovviamente nemmeno come la conclusione di questo campionato».

Fra le tante durissime critiche che vengono quotidianamente mosse ad Allegri, una tra queste è relativa al rendimento di Dušan Vlahović. Secondo molti tifosi e addetti ai lavori, il numero 9 serbo è stato tatticamente snaturato dall’allenatore labronico, perché spesso si abbassa per legare il gioco e per muoversi tra le linee attaccando molto meno la profondità rispetto a quando era alla Fiorentina. A tuo avviso, da grande attaccante quale sei stato, Vlahović è cresciuto sotto la guida di Max Allegri o si è involuto?

«Io credo che Vlahović sia sicuramente migliorato nel suo rendimento, come nel cucire il gioco fra le linee. Questo è stato certamente anche merito di Allegri. È logico che quando giochi nella Juventus devi fare gol, ma io non credo assolutamente che Massimiliano Allegri lo abbia snaturato dicendogli di non attaccare la profondità. Penso che la prima cosa che lui debba fare sia trovare la tranquillità, cercare di curarsi da Top Player per evitare di infortunarsi e crearsi una mentalità da grande professionista nel momento in cui un calciatore indossa la maglia della Juventus. Io ritengo che Vlahović sarà un valore aggiunto per la Juve nei prossimi anni».

Soffermandosi ancora sui singoli, pensi che alla Juventus di questa annata sia mancato un vero regista di centrocampo, visto che Locatelli gioca in quel ruolo da adattato, magari anche per migliorare la qualità del gioco?

«È ovvio che i bianconeri siano mancati soprattutto a centrocampo, anche perché non hanno avuto la possibilità di far tirare il fiato ai calciatori che hanno giocato quasi sempre come Rabiot, lo stesso Locatelli, McKennie, spesso in campo anche con diversi acciacchi. Quindi anche le loro performance sono state condizionate dai loro continui problemi. Ma alla base di tutto, la mancanza di Pogba e Fagioli si è fatta sentire, magari caricando pure di responsabilità Manuel Locatelli. Credo che lui sia un buon giocatore. Quest’anno servirà tantissimo a lui per capire cosa vuol dire la Juve, cosa significa fare il regista e per comprendere come assumersi le responsabilità. Ovviamente questa maglia pesa. È vero, magari giocando da centrale di centrocampo gli sono state un po’ tarpate le sue qualità che aveva fatto comunque intravedere nel Sassuolo e anche in nazionale, all’europeo. Sono convinto che potrà tornare utile alla Juventus nel prossimo anno».

A prescindere dalla finale di Coppa Italia, proiettandosi con la mente già alla prossima stagione, quali sono gli step che il club bianconero deve compiere per fare un salto di qualità significativo?

«Anche se non vivo la quotidianità del gruppo, lo step numero uno che deve fare la Juve credo sia quello di ritrovare il senso di appartenenza, far capire la storia di questo club a tutti i giocatori che l’anno prossimo faranno parte della rosa bianconera. Ma soprattutto tornare a comprendere che per giocare in certe squadre devi avere la cultura del lavoro, perché paga sempre. Il primo passo per la prossima stagione è anche quello di tornare ad avere quella fame che ha sempre contraddistinto questa squadra».

 


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