IL MITO DELL’UOMO SOLO AL COMANDO
A molti sfugge che
in ogni club, l’allenatore, viene scelto dalla proprietà e non dal Direttore
Sportivo. Certo, il Direttore sportivo (o Direttore dell’Area Sport) essendo il
punto di riferimento principale della proprietà, quello che deve curarne gli
interessi e assecondarne le richieste è chiamato a portare proposte, ma è sempre
il proprietario del club a cui spetta l’ultima parola riguardo alla scelta del
tecnico. Nell’estate del 1990, Luca Cordero di Montezemolo a fronte di forti
pressioni da parte di Gianni Agnelli portò sulla panchina della Juventus Gigi
Maifredi dando il benservito a Dino Zoff pur reduce dalla recentissima
conquista dell’accoppiata Coppa Italia - Coppa Uefa. All’Avvocato piaceva molto
il calcio esteticamente bello, champagne, del tecnico di Lograto rispetto a
quello tradizionale dell’ex portierone bianconero. Così come fu il grande
“saggio” Franzo Grande Stevens a convincere Gianni Agnelli di mettere in
soffitta prima del previsto l’era Maifredi
per richiamare al capezzale di una Juve malaticcia il duo Boniperti –
Trapattoni. Al termine della stagione
2000/2001, Luciano Moggi riconfermò di fatto Carletto Ancelotti pur reo di aver
perso uno scudetto già vinto nella piscina di Perugia ma l’intervento di
Umberto Agnelli riportò in extremis alla guida di Madama un grande ex che la
Juventus non aveva mai smesso di amare: Marcello Lippi. Al termine della
stagione 2003/2004 con Lippi destinato alla panchina della nazionale italiana,
il già gravemente malato Umberto Agnelli pochi giorni prima del suo decesso,
impose alla Triade la scelta di quello che in quegli anni era considerato il
miglior allenatore italiano: Fabio Capello. Quel don Fabio che nonostante soltanto
qualche giorno prima avesse dichiarato ai microfoni di una radio romana che mai
avrebbe allenato la Juve si sedette sulla panchina bianconera al posto di
Didier Deschamps e Cesare Prandelli, il duo che a detta di tutti si stavano
giocando il ruolo di allenatore della squadra più amata (e odiata) d’Italia. Il
2 giugno 2006 quando il Marchese Carlo Barel di Sant’Albano ricevette un secco
no da parte di Fabio Capello per allenare la Juventus in serie B, fu l’uomo
della proprietà, Giovanni Cobolli Gigli, a decretare che dopo trentatré anni,
raccogliendo l'eredità del cecoslovacco Čestmír Vycpálek, la panchina della
Juventus sarebbe stata assegnata ad un tecnico straniero: Didier Deschamps, già
centrocampista della Juventus nella seconda metà degli anni 90. Al termine
della stagione 2010/2011 l’allora Direttore Generale di Madama Beppe Marotta
era intenzionato a portare a Torino sponda bianconera Luciano Spalletti o in
alternativa uno tra Mazzarri e Villas Boas. Profili che non entusiasmavano
Andrea Agnelli, il quale optò per Antonio Conte. Quando nell’estate 2014 lo
stesso Conte manifestò ampi segnali di insofferenza culminati con le sue
dimissioni a ritiro iniziato, Marotta propose il povero Mihajlovic, Pavel Nedved
portò il nome di Roberto Mancini ma prevalse la linea previdenziale con Andrea Agnelli
che scelse Massimiliano Allegri. E come dimenticare l’otto 8 agosto 2020 quando
dopo aver esonerato Maurizio Sarri a fronte dell'uscita dalla Champions League
ad opera del modesto Lione, Andrea Agnelli con un vero e proprio coup de théâtre
nominò Andrea Pirlo nuovo allenatore della Juventus anche se il 31 luglio il maestro
era stato presentato come tecnico dell'Under 23 bianconera. Arriviamo alla vigilia
di Pasqua del 2021 quando un Andrea Agnelli malcontento della stagione della
Juventus targata Pirlo incontrò al caffè di Forte dei Marmi Massimiliano
Allegri mentre i bianconeri erano in campo a giocarsi il derby con il Torino. In
quel giorno di vigilia di Pasqua venne sancito il ritorno del tecnico labronico
sulla panchina di Madama. E anche in questo caso la decisione fu presa dal
proprietario. Come ogni regola esistono le eccezioni, come nel 2010 quando Marotta
e Paratici freschi di nomina rispettivamente di Direttore Generale e Direttore Sportivo
ebbero la possibilità di portarsi da Genova Gigi Del Neri. Così come avvenne nella
primavera 2019 quando con la contrarietà
di Andrea Agnelli il duo rampante Paratici – Nedved ebbero la meglio nel far
licenziare Massimiliano Allegri. Non solo: non riuscendo ad arrivare a quello
che rappresentava il piano A (Antonio Conte) ebbero la forza di far digerire
alla proprietà il nome per nulla commestibile di Maurizio Sarri. Tecnico
proveniente dal Chelsea che non avendo nulla a che spartire con il mondo sabaudo
mai legò con un ambiente a lui ostile e uno spogliatoio pieno di vedove di Allegri.
Eccezione che ci auguriamo possa dar frutti migliori quest’anno dal momento che
la proprietà, nel nome di John Elkann, ha delegato la scelta del nuovo
allenatore al Direttore dell’Area Sport Cristiano Giuntoli. D’altra parte, la
lettera agli azionisti di John Elkann era stata chiara: pieni poteri a
Giuntoli. Poteri talmente ampi da avergli dato la possibilità di sostituire un
allenatore forte di un ulteriore contratto da quasi nove milioni di euro netti
per un’altra stagione. Carta bianca quindi per Giuntoli pur nei limiti dei
confini finanziari. Una fiducia assoluta da parte della proprietà per il bene
della Juventus che comporterà per il dirigente ex Carpi e Napoli onori ma anche
oneri. Tra questi ultimi non ci dovrà però essere quello della solitudine. Giuntoli
non potrà essere lasciato solo. È un grande professionista ma ha comunque bisogno
di avere alle spalle una società che non solo gli fornisca le linee guida che ma
soprattutto sia capace di stargli vicino e di supportarlo. Ad iniziare dalla scelta
dell’allenatore se (come pare) sarà Thiago Motta. Cristiano ha deciso che la
sua Juve avrà un marchio di fabbrica: quello dell’ex allenatore del Bologna. Una
vera e propria sfida dal momento che l’italo brasiliano non ha mai allenato
grandi club. Una ventata di aria nuovo rispetto al “vecchio” Max Allegri, ma
alla Juve oltre a giocare bene bisogna vincere. Non solo: alla Juve conta solo
vincere. Fatto per nulla irrilevante. Di
Motta si dice un gran bene. Chi lo ha visto lavorare da vicino parla di lui
come di un visionario. Uno di quelli
alla Guardiola. Potrebbe quindi essere la sfida giusta, a patto che venga
sostenuta. Ogni rivoluzione, parola che deriva dal latino revolutio,
"rivolgimento", per avere successo deve avere sì come principale
protagonista una faccia carismatica ma necessita di poteri forti che guardino le
spalle ai suoi leader, e non che alla prima difficoltà li lasci soli. Bisogna
evitare quell’assenza della società che tanto ha lamentato Allegri negli ultimi
mesi della sua parentesi bianconera, perché l'unione fa la forza. Solo se tutte
le componenti societarie parteciperanno tirando dalla stessa parte le
probabilità di ottenere il risultato sperato saranno cospicue. Ci sono stati
tempi in cui il mito dell’uomo solo al comando poteva dar vita ad imprese irraggiungibili
per i più. Storica in tal senso la frase
della radiocronaca riferita a Fausto Coppi ma anche nel mondo delle aziende,
dell’industria, dei club sportivi c’è stata un’epoca in cui un uomo solo al
comando, particolarmente abile, acuto, intuitivo, sveglio, poteva ottenere
grandi risultati da solo. Oggi non è più così. Il progresso, l’evoluzione, le
inevitabili trasformazioni avvenute trasversalmente nei diversi settori hanno
fatto sì che il leader attuale per avere successo debba esser supportato dalle migliori
cooperazioni possibili. In caso contrario, chi oggi provasse ad avventurarsi in
qualsiasi impresa senza una squadra forte e coesa alle spalle avrebbe ottime
chance di vittoria scommettendo sull’insuccesso della propria impresa. E il “monarca”
toscano, investito da John Elkann, a “deus ex machina” della Juventus dalla
Juve è stato chiamato non certo solo a comprare giocatori, ma a dare un nuovo
corso alla Signora più vecchia d’Italia. Impresa tutt’altro che semplice.



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