UN TAVOLACCIO AL TESTACCIO
Di Marco Edoardo Sanfelici per FONDAZIONE JDENTITÀ BIANCONERA
Non è difficile
nello sport incappare nell’avversario che non si riesce a superare, anzi al
cospetto del quale spesso si soccombe e non c’è verso di venirne a capo. Allora
si usa un termine noto a chiunque segua le vicende agonistiche. Si parla di
“bestia nera”
Qualcosa di
simile succede alla Juventus del quinquennio, quella grande squadra che vince
di fila i campionati dal 1931 al 1935. E la cosiddetta “bestia nera” è la Roma.
Incredibile, una compagine fresca di fondazione, con soli 5 anni di vita, che
fa vedere i sorci verdi ai Rosetta, ai Caligaris, ai Ferrari, ai Combi, ai
Borel.
A marzo del
1931, poche settimane dal primo titolo della serie e terzo scudetto in assoluto
della Juventus, la sconfitta sul campo del Testaccio, nel bel mezzo del
quartiere in faccia a Trastevere, sulla sponda opposta del “fiume de Roma”, è
addirittura umiliante. I bianconeri tornano a casa con una “manita”
antelitteram servita: 5 a 0 senza possibilità di replica. Solo il tempo di
ricominciare una nuova stagione e la Juve fa di nuovo visita alla capitale. E’
il 18 ottobre dello stesso anno, 1931 e la sconfitta questa volta è contenuta,
ma netta, con le sembianze del classico risultato all’inglese. I cultori sanno
che si tratta di un 2 a 0 con tanto di benedizione papale.
In età avanzata,
in preda ai ricordi, è lo stesso Borel II, detto “farfallino” per la sua corsa
leggera e dribblante, che risponde ad una precisa domanda dell’indimenticato
Sandro Ciotti. “Dì la verità, qualche volta avete attinto a riti scaramantici?”
suggerisce il radiocronista. Borel II risponde: “Avevamo il rospo del campo del
Testaccio da digerire, in quello stadio venivamo da due cocenti sconfitte e non
si voleva per motivo alcuno assecondare il vecchio adagio del ‘non c’è due
senza tre’. Sono io che sdraiato sul tavolaccio dei massaggio, mentre mi spargo
l’olio canforato, ho l’idea del gesto apotropaico azzeccato. Ordino di voltare
il tavolaccio in senso antiorario da destra ai sinistra con noi tutti intorno.
E’ marzo del 1933 e vinciamo 1 a 0 ed io segno la rete della vittoria”
La Juventus
vince il suo terzo scudetto consecutivo e la nomea di “Fidanzata d’Italia”
inizia a imporsi.
“A ottobre, è
Borel II che parla, “ si ritorna a Roma durante il girone di andata della
stagione 1933/34. Stesso stanzino degli spogliatoi, io steso sul tavolaccio,
che è sempre lì. Uno sguardo di intesa con i miei compagni e si dà il via alla
girata antioraria del tavolaccio. La partita termina 3 a 2 per noi ed io segno
tutte e tre le reti. Vinciamo rimontando per due volte il risultato e la rete
della vittoria la segno a 3 minuti dalla fine”
Gli scudetti di
fila sono 4 e la Juventus è sempre più la squadra d’Italia, fornendo anche un
bel numero di giocatori a Vittorio Pozzo per trionfare nel Campionato del Mondo
in casa.
“L’anno
successivo 1935 a gennaio ci tocca la trasferta romana contro i giallorossi.
Appena entrati negli spogliatoi ci accorgiamo che il tavolaccio è completamente
inchiodato al pavimento, segno evidente che il nostro rito scaramantico non è
passato inosservato. Non c’è stato un solo attimo di titubanza. Con tutte le
forze e con aggeggi di fortuna ci si mette a divellere le gambe di legno
schiodandole, rompendole, strappandole, riducendole a brandelli. Si gira il
tavolaccio come nostro solito. La gara finisce con la vittoria per 2 a 1 ed io
faccio i 2 goal, rimontando lo svantaggio iniziale”.
A fine aprile
del ‘35 la Juve conclude il quinquennio glorioso, 5 campionati consecutivi,
un’impresa che resterà imbattuta fino al 2017, con il seguito di altri 4
scudetti. Sottolineo ancora una volta: consecutivi e sul campo.
Fin troppo
facile abbandonarsi ad esclamazioni della serie: “Altri tempi, altro calcio,
perduti nelle coltri brumose delle immagini in bianco e nero con una vaga piega
di tonalità osso di seppia. Senza dubbio alcuno, ma sento un irrefrenabile
bisogno di attingere alle origini, quasi per trarre insegnamenti ed ispirazioni
da far filtrare nelle maglie del pallone contemporaneo, intrise di denaro, di
interessi, di pragmatismo cinico e spietato. Perchè il “giuoco del calcio” è
nato goliardico, studentesco, formativo, come lo spirito dei bianconeri che
voltavano tavolacci per propiziarsi le grazie di Eupalla. Magari a qualcuno
potrebbe venire a mente di lanciare un gatto nero ogni qualvolta incrociasse
qualche presidente di società sull’orlo del fallimento o qualche alto
dirigente, vice presidente U.E.F.A. Ma così, senza pretese, “per vedere di
nascosto l’effetto che fa” (cit. Enzo Jannacci)



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