UN UOMO NATO CENTRAVANTI
Di Andrea Danubi
Si può definire “fuoco di paglia” uno che ha vinto la classifica cannonieri del mondiale e in 4 anni di serie A ha segnato 37 gol? Questo destino è toccato ad un siciliano forte e permaloso, passato in pochi mesi dai campi della B alla fama planetaria. Estate ’89: Boniperti, dopo un colloquio con Franco Scoglio, decide di portare alla Juventus Salvatore Schillaci, centravanti del Messina, 23 reti nell’ultimo campionato cadetto. Me lo “studio” nelle prime amichevoli, e in Coppa Italia. E’ compatto, esplosivo, mi piace come cerca la porta. Nei movimenti, nel modo di tirare mi ricorda Bruno Giordano da giovane. Rammento una partita al vecchio Comunale, in settembre, al primo turno di UEFA: giochiamo contro il Gornik Zazbre ( nome tristissimo per noi bianconeri, due parole che ci portano immediatamente all’incidente mortale di Gaetano). Vinciamo 4-2, lui segna 2 gol in 20 minuti. Cresce. In quella stessa campagna acquisti, arrivò anche Casiraghi, enfant prodige del Monza. Due incognite per l’attacco: la Torino calcistica, dal palato fine, è scettica. Zoff inizialmente mette Salvatore unica punta, accanto a lui si muovono con intelligenza ( e con i loro limiti) l’ombroso Russo Zavarov e la “formica atomica” Rui Barros. Schillaci esplode: 10 gol nel girone d’andata, poi 5 nel ritorno, decisivo anche nelle coppe. I soloni storcono il naso, “è egoista”. Lui va avanti per la sua strada, segna e fa segnare, fino alla convocazione in azzurro. Comincia così la favola juventina di questo palermitano arrivato alla serie A a 25 anni. Ricordo le prime interviste, la sua timidezza, le frasi spezzettate, l’uso continuo dell’infinito, quegli occhi spaesati di chi si sente precipitato in un altro mondo. Nel calcio ormai robotizzato il suo giocare con dedizione, con la vocazione dell’istinto lo rende beniamino della Filadelfia: i tifosi lo battezzano Totò, un soprannome che sì, ricorda la sua meridionalità, ma è semplice, ficcante, “italiano”. L’apice lo raggiunge in estate, vincendo la “Scarpa d’Oro” a Italia ’90, strabiliando tutti: la sbornia di popolarità è enorme e credo infausta, adesso è atteso al varco. A questo punto andrebbe saputo gestire, con affetto e sagacia. Ma alla Juventus non ci sono più Zoff e Boniperti, è arrivato il coniglio bagnato, insieme a Maifredi e al manichino-con-fazzolettino, Montezemolo. I proclami si sprecano, però Totò non lega con l’allenatore, complice un utilizzo errato sul piano tattico. Mi pare doverosa una parentesi tecnica: Schillaci è una prima punta, come dice Scoglio “attaccante che fa reparto da solo”. Definizione perfetta. Dev’essere lasciato libero di spaziare su tutto il fronte offensivo. Sembra arruffone, sprecone, tecnicamente limitato: no, è un grande. Però non può giocare ingabbiato, non gli deve esser chiesto quel che non può fare. Ho sempre sostenuto che Casiraghi gli è stato di danno, mi pare che i fatti mi abbiano dato ragione. Totò predilige lo scambio breve, ha le qualità per l’uno-due, ha il tiro, la finta di corpo, nel suo marcatore trova un riferimento e per questi è finita. Ma se lo si vuol rendere comprimario di un centravanti-paracarro lo si riduce all’impotenza. Grazie al suo istintivo movimento quanti gol, quante belle figure ha fatto il Codino, mezzapunta succhiaruote. Maifredi stravede per Casiraghi, Totò gioca ma non c’è, esce di scena. Stressato anche da seri problemi familiari (un fratello e un cugino arrestati, il turbolento divorzio dalla moglie) diventa irascibile in campo, i difensori lo tartassano, la sfortuna fa il resto. A Bologna minaccia di sparare a Poli, in Belgio litiga col tecnico e interrompe, bizzoso, un allenamento. Arriverà Trapattoni, ma la musica resterà la solita. La critica lo boccia, “ha ballato una sola estate”, lui se la prende con diversi giornalisti, scema l’amore del pubblico, si chiude malinconicamente il capitolo Juventus. A mio parere è stato un grande incompreso, sottostimato e male impiegato (Zoff e Vicini a parte), poteva fare di più. Nell’Inter, che lo acquista nel ’92, non ha miglior sorte, fermato anche da due lunghi infortuni. L’anno dopo inizia bene, 5 gol in 9 partite. Ma Totò ormai ha deciso per gli yen, per i gol a mandorla: giusto così. I tifosi irriconoscenti che gli hanno voltato le spalle, che lo hanno spesso fischiato – al Delle Alpi come a San Siro – non meritano le sue gesta, il suo impegno, la sua genuinità. Con queste felicissime espressioni lo definì il suo conterraneo Vladimiro Caminiti: “ Un calciatore di ruolo centravanti che si batte soprattutto per il gol conquistato di forza, con lo scarto saraceno dei lombi, con l’orgoglio smisurato del povero. Centrattacco nativo, ha il genio tutto nei piedi, carezzevoli e crudeli.” Analisi splendida. Secondo me Schillaci ha pagato parecchio, in carriera, la dimensione di meridionale ignorante e l’incapacità di tenere pubbliche relazioni, di sapersi vendere bene. Andai a vedere, al Bentegodi di Verona, l’ultima sua partita con la maglia della Juve, sentivo di doverlo “salutare”: mi ricompensò sul campo. Rammento, a Marassi, i miei salti in mezzo ai rossoblù per una doppietta spettacolosa al Genoa, sulla cui panchina sedeva “il Professore”. Mi rimase impressa una frase del tecnico: “Schillaci è un giocatore che va allenato nel cervello, non nelle gambe.” Aveva capito.
Ciao, Totò: chi sa di calcio non può disconoscere il tuo valore, per me hai lasciato una traccia indelebile. Quando guardo – accanto alla maglia n°19 – quel poster che ho in camera, dove tu esulti al mondiale, il tuo sguardo allucinato, spiritato, euforico, mi mette ancora i brividi.



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