L’EDITORIALE – JUVENTUS: I FRUTTI DELL’ALBERO BIANCONERO NON SONO ANCORA MATURI
Di Stefano Dentice
La rivoluzione copernicana attuata in estate da Cristiano Giuntoli e il suo staff sta producendo i risultati tanto agognati dal popolo juventino. I numeri parlano chiaro: la Juventus, in questo momento, è terza in Serie A con 13 punti frutto di tre vittorie, quattro pareggi e zero sconfitte in sette giornate, a tre lunghezze dal Napoli attualmente capolista. 10 i gol realizzati e uno subìto, mentre la Juve di Champions è a punteggio pieno con 6 punti in due match, 6 reti segnate e tre incassate. Ormai lo sanno anche i sassi di fiume che il primo dato assai evidente è legato alla solidità difensiva di una squadra granitica specie in fase di non possesso. Grazie all’elogiabile lavoro di Thiago Motta e alle notevoli qualità tecniche, fisiche e temperamentali soprattutto dei nuovi acquisti, Madama sta pian piano cambiando pelle: non più quella raggrinzita degli ultimi quattro mesi della scorsa stagione, ma fresca e vellutata come quella di una signora decisamente ringiovanita. L’impronta tattica dell’ex allenatore del Bologna si vede eccome: il suo 4-2-3-1 sempre più camaleontico, spessissimo un 3-2-4-1 o addirittura 3-2-5 in fase di costruzione e sviluppo, basato su continui interscambi di posizione, è un marchio di fabbrica. La ferma volontà di avviare l’azione dal basso è un altro must della filosofia mottiana, così come l’alternanza di una fase di non possesso che sovente prevede un 4-3-3 pronto a trasformarsi in un 4-1-4-1 o 4-5-1. In possesso la formazione del tecnico italo-brasiliano tende sempre a dominare il gioco con il palleggio, cercando anche l’ampiezza, le sovrapposizioni esterne e interne e la verticalità appena possibile. Ma è l’occupazione degli spazi che rappresenta il vero tratto distintivo. In fase di non possesso, invece, si alterna un pressing offensivo e ultraoffensivo a un blocco basso con dieci uomini sotto palla raccolti in 35-40 metri, per garantire compattezza, assicurare densità specialmente nel cono centrale del rettangolo verde e intasare al massimo le linee di passaggio. Poi l’altra importante peculiarità è la riaggressione feroce nelle transizioni negative appena si perde il pallone, punto cardine su cui si fonda l’idea tattica di Motta. Quanto ai calciatori, quasi tutti i nuovi innesti stanno fornendo ottime prove: Kalulu giganteggia, Thuram è sempre prezioso soprattutto sul piano fisico, Douglas Luiz sta facendo intravedere giocate di alta scuola al netto di frangenti in cui si annebbia, Koopmeiners sta crescendo gradualmente ma deve aggiustare la mira in zona gol, Nico González si sta inserendo nella nuova architettura tattica mostrando pregevoli doti tecniche e, Conceição, con il suo mancino all’«arsenico», manda al manicomio i suoi diretti marcatori con dribbling ubriacanti anche nello stretto e stop and go fulminei. Per ciò che concerne i giocatori della “vecchia guardia”, Bremer è stato un’implacabile sentinella fino al suo gravissimo infortunio, Gatti trascinatore per personalità e grinta, Cambiaso che converge in mezzo al campo abbina qualità, quantità e polivalenza tattica, Locatelli nettamente sopra la sufficienza ogni qualvolta viene schierato, McKennie utilissimo alla causa bianconera per spirito d’abnegazione e dinamismo, Fagioli trasforma il cuoio in cachemire quando tocca il pallone e Yıldız incanta per un bagaglio tecnico di primissimo ordine. Un capitolo a parte, invece, lo merita Dušan Vlahović. I singoli sono sempre croce e delizia. Lui, in questa fase, è proprio questo. Chi continua a definirlo una «pippa» sta al calcio come Antonio Cassano sta alla grammatica italiana, perchè i numeri parlano chiaro anche per l’ex bomber della Fiorentina: fra campionato e Champions League, il suo bottino è di sette gol in nove gare più un assist in Europa; un ruolino di marcia degno di nota. Nelle ultime tre uscite consecutive, fra Genoa, Lipsia e Cagliari, ha segnato cinque reti. Il serbo, al contrario di Paganini, (si) ripete. Ma purtroppo c’è il risvolto della medaglia: in troppe circostanze Vlahović si è mangiato dei gol come fossero cioccolatini. L’ultimo in ordine cronologico, proprio contro il Cagliari, a porta spalancata e a tu per tu con il portiere, a distanza ravvicinatissima. Probabilmente anche Speroni e Crisantemi della Longobarda avrebbero segnato, mentre lui ha gettato alle ortiche una ghiottissima opportunità di chiudere la partita a quindici minuti circa dal triplice fischio, quando la Juventus era in vantaggio 1-0 per poi subire il definitivo 1-1 (prima rete subita in campionato) su rigore battuto da Marin. Il numero 9 della Vecchia Signora, come tutta la squadra, deve migliorare in fretta e in furia anche su questo aspetto fondamentale. Infatti, ad oggi, la mancanza di lucidità, freddezza e precisione negli ultimi 15-20 metri rappresenta il punto debole di una Juve che sta crescendo a vista d’occhio, ma che al momento è ancora distante dal processo di maturazione completa. Nonostante ciò, alla luce dei risultati e delle prestazioni di questi due mesi di stagione, pensare in grande è più che legittimo. Al contrario, coloro che tendono ad annientare l’entusiasmo e a sprofondare nel pessimismo cosmico di leopardiana memoria, sono calcisticamente «ipovedenti».



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