L’EDITORIALE – JUVENTUS: URGE UNA CURA IMMEDIATA CONTRO LA PAREGGITE ACUTA

 


Di Stefano Dentice

Il fattore X, nel linguaggio comune, è indice di un valore aggiunto, di un qualcosa che fa la differenza. Nel caso della Juventus, purtroppo, soprattutto per ciò che concerne il campionato, sta diventando sinonimo di pareggite acuta. Infatti, dopo quattordici giornate di Serie A, i bianconeri detengono un triste primato: otto pareggi che destano una certa preoccupazione. Se è vero che la Juve rimane per il momento l’unica squadra imbattuta, con la miglior difesa (8 gol subiti), è anche vero che ha solo il sesto miglior attacco del torneo (22 gol realizzati); francamente un bottino piuttosto magro per una formazione che, attualmente sesta e a 6 punti dal Napoli capolista, anela ai vertici della classifica. Ma sono i troppi pareggi che fanno indignare il popolo bianconero. Stando alla stretta attualità, pensando all’1-1 del Via del Mare contro un buonissimo Lecce rivitalizzato dall’arrivo di mister Marco Giampaolo, rammarico misto a frustrazione prendono il sopravvento. Pur falcidiata dagli infortuni, specialmente dalle assenze pesantissime dei lungodegenti Bremer e Nico González a cui si è aggiunta quella di Vlahović, giusto per citare tre nomi altisonanti dell’organico a disposizione di Thiago Motta, per onestà intellettuale è doveroso sottolineare che la Vecchia Signora, dal primo minuto, è scesa in campo con: Perin; Danilo, Gatti, Kalulu, Cambiaso; Locatelli, Thuram; Conceição, Koopmeiners, Yıldız; Weah. In sintesi, con un undici praticamente titolare, una squadra che avrebbe dovuto espugnare lo stadio salentino senza «se» e senza «ma». Invece, pur disputando un primo tempo di buon livello, in cui i bianconeri si sono «schiantati» due volte sul palo con Thuram e Conceição, nella ripresa hanno faticato e sofferto oltremodo contro un Lecce volitivo, battagliero, spavaldo, che dopo il gollonzo di Cambiaso ha centrato il meritatissimo pari, quasi sul gong, con il «redivivo» Ante Rebić. Al termine del match, le statistiche riportano 3 tiri in porta di Madama contro i 6 dell’avversario. Numeri, questi, che la dicono lunga sulla prestazione complessiva degli uomini di Motta. Proprio dall’allenatore italo-brasiliano è lecito aspettarsi molto di più. Giunto a Torino con le stigmate del giochista della prima ora, etichetta affibbiatagli da quelli che stanno al calcio come un vegano sta alla bistecca di maiale, l’ex tecnico del Bologna avrebbe dovuto comunque invertire rotta innanzitutto in termini di produzione offensiva. Ma in realtà, almeno fino a questo punto della stagione, non è così. La Juventus, pur molto solida in fase di non possesso, crea pochissimo negli ultimi 15-20 metri. Questo nonostante un livello qualitativo decisamente più alto rispetto alla rosa della scorsa annata. A tal proposito, il periodo di forma smagliante che sta attraversando Francisco Conceição, paradossalmente, sta rendendo monotematico il gioco della Juve. Infatti, sembra che l’unica soluzione offensiva davvero efficace sia la ricerca quasi ossessiva dell’esterno alto portoghese, sperando che inventi sempre la giocata decisiva. Ma è proprio Thiago Motta, spesso protagonista di letture e sostituzioni bizzarre, che deve porre rimedio a questa situazione nel minor tempo possibile. Certo, tre mesi e mezzo di stagione non permettono di esprimere giudizi definitivi, ma il campanello d’allarme sta suonando forte dalle parti della Continassa; specie se si considerano i tantissimi punti gettati alle ortiche a causa della pareggite. Più che mai, serve come l’ossigeno una cura potente ed efficace, tranne che non ci si trovi costretti a invocare San Giovanni Battista e la Madonna della Consolata per i troppi infortuni e per i troppi pareggi. Con la speranza che entrambi non tifino per i “Bovini”. 


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