DALLE ‘TRE ESSE’ AGLI ANNI 2000: LA JUVENTUS TRA BANDIERE STORICHE E NUOVE SFIDE IDENTITARIE
Di Filippo Vagli
La Juventus ha
le sue radici nel 1987, quando un gruppo di studenti del liceo Massimo
D'Azeglio si riunì attorno a una panchina, accomunato dall'amore per il calcio.
Quel gruppo di ragazzi, con un’età media di 16 anni, scelse il nome Juventus
("gioventù" in latino) incarnando fin dall’inizio un’identità
collettiva. Con l’ingresso degli Agnelli nel 1923, nacque un modello unico
basato sulle “tre esse”: semplicità, serietà, sobrietà. Questo approccio
trasformò la Juventus in un simbolo di appartenenza cittadina e nazionale, come
dimostra il ruolo centrale nella "Nazio-Juve" degli anni ’30, quando
9 giocatori bianconeri formarono l’ossatura della nazionale campione del mondo
1934. Così come nella squadra italiana vincitrice del Campionato del Mondo 1982
erano presenti sei giocatori della Juventus: Dino Zoff, Claudio Gentile,
Antonio Cabrini, Gaetano Scirea, Marco Tardelli, Paolo Rossi, a cui va aggiunto
Franco Causio che pur militando nell’Udinese era stato a lungo juventino.
Giocatori che incarnarono il concetto di “bandiera”, rimanendo legati al club
per più di un lustro. Negli anni 2000, il trio Buffon-Chiellini-Bonucci ha
rappresentato l’ultima grande espressione di un "DNA bianconero"
costruito su fedeltà e leadership. La Juventus di oggi sta attraversando un
momento di riflessione profonda sul proprio percorso, soprattutto in relazione
al senso di appartenenza e alla costruzione dell’identità. L’immagine simbolica
del gol di Locatelli e della sua esultanza, con il dito che indica
orgogliosamente lo stemma bianconero, rappresenta un richiamo alle radici e ai
valori fondamentali del club. Questo gesto non è solo un’espressione personale,
ma un monito per riaffermare l’importanza del legame con la storia e la
tradizione, elementi che nel calcio restano cruciali. Negli ultimi anni, la
Juventus ha intrapreso una strategia di mercato incentrata sull’acquisto di calciatori
che pur portato qualità tecnica, hanno anche evidenziato una perdita di
connessione con l’identità storica del club. L’assenza di giocatori italiani o
cresciuti nel vivaio bianconero sta indebolendo quel senso di appartenenza che
da sempre caratterizza la Juventus. La cessione di giovani promettenti come ad
esempio Nicolò Fagioli, cresciuto nel vivaio, è solo uno degli esempi di questa
tendenza. La riflessione si estende anche agli allenatori: il ritorno a una figure
impregnata di “juventinità” come Igor Tudor dimostra quanto sia importante
avere guide che comprendano profondamente l’essenza del club. Tuttavia, il vero
fulcro resta il gruppo dei giocatori, che dovrebbero essere dotati oltreché di
talento, anche di un forte legame con i valori della società. Guardando al
futuro, la Juventus dovrebbe considerare queste lezioni per le prossime
campagne acquisti e cessioni. Reinserire giocatori italiani e valorizzare
coloro che hanno una lunga militanza nel club potrebbe essere la chiave per
ritrovare il famoso "DNA bianconero". Questo equilibrio tra qualità
tecnica e senso di appartenenza potrebbe rappresentare una svolta fondamentale
per tornare a costruire una squadra solida e vincente, capace di onorare la
propria storia senza rinunciare alle ambizioni globali. La Juventus dovrebbe
guardare al passato per costruire il futuro, valorizzando maggiormente il
proprio vivaio, integrando i suoi migliori giovani dall’animo bianconero con
tre, quattro, leader simbolici, capaci di rappresentare un ponte tra
generazioni. E perché no, “vestire” i nuovi acquisti con un percorso
identitario, organizzando incontri con ex bandiere del club piuttosto che visite
guidate al JMuseum. Top club come Real Madrid, Barcellona e Bayern Monaco, solo
per citarne alcuni, dimostrano come sia possibile unire l'identità locale di
una squadra alla competitività, mantenendo standard di eccellenza elevati.
L’appartenenza non deve essere un concetto astratto, ma una strategia vincente
radicata in 126 anni di storia.



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