IL CORSIVO - FISCHIETTI IN FUGA: LA FRAGILE AUTORITÀ DEGLI ARBITRI

 


Di Filippo Vagli

Marco Guida, l'arbitro campano che, come un moderno Ulisse, ha deciso di abbandonare le acque tumultuose di Napoli per cercare lidi più sereni. "Non ci sono più le linee territoriali nella designazione arbitrale", dice, quasi a giustificare questa sua eroica ritirata. Ma la verità è che, mentre il calcio scivola nel baratro di uno spettacolo sempre più grottesco, è l'arbitro stesso a rivelare quanto sia fragile la sua sicurezza. E qui ci sarebbe da riflettere: se un arbitro, che dovrebbe incarnare l'autorità e l'imparzialità, teme di passeggiare per strada dopo aver fischiato un fallo, cosa ci resta del "gioco più bello del mondo"? "Il calcio a Napoli è vissuto con emotività", afferma Guida, come se in altre città come Milano, Torino, così come in una qualsiasi altra città del mondo si giocasse a scacchi anziché a calcio. Ma è davvero l’emotività a essere il problema? O piuttosto la mancanza di rispetto che avvolge il nostro sport come un nebbioso manto? Le violenze subite dagli arbitri nelle serie minori non sono solo un triste retaggio del nostro tempo, ma un campanello d'allarme che suona sempre più forte. In un contesto simile, le parole di Guida sembrano più un'invocazione al dio della fuga che una dichiarazione di intenti. E se davvero Guida e il suo collega Maresca non si sentono al sicuro arbitrandoli, perché non estendere questa preoccupazione anche ad altre squadre? Magari l'Inter, che lotta per il titolo, potrebbe riservare loro lo stesso trattamento. Ma, ahimè, la coerenza in questo sport è un valore in via d'estinzione, così come la sportività. E mentre ci si interroga sulla serenità di chi fischia, ci si chiede: può un arbitro che teme per la propria incolumità davvero essere un arbitro sereno? O forse stiamo solo assistendo a una nuova, preoccupante forma di professionismo, dove la paura prende il posto del fischietto? In questo balletto di insicurezze e giustificazioni, il calcio italiano continua a scivolare verso la sua personale odissea nel baratro, e noi, poveri spettatori, siamo costretti a domandarci: chi ci salverà da questo spettacolo?


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