RIVOLUZIONE STEP BY STEP: IL METODO COMOLLI DIVIDE LA TIFOSERIA
Di Filippo Vagli
Damien Comolli è
appena arrivato alla Juventus e, come molti manager prima di lui, si trova
subito al centro di critiche, spesso fuori luogo. Ogni scelta, ogni mancato
annuncio, persino ogni voce di mercato, viene immediatamente sottoposta a un
fuoco di fila di giudizi preventivi. Non importa che le difficoltà del club
siano oggi ampiamente riconosciute, sia a livello sportivo che finanziario:
nella realtà bianconera, la polemica pretestuosa sembra essere diventata parte
integrante del DNA del tifoso juventino
Radici di un
malessere
La patologia
dell’insoddisfazione juventina affonda le proprie radici nell’ultimo decennio.
I nove scudetti consecutivi hanno drogato e ridisegnato la percezione della
vittoria, trasformando il successo in abitudine e quasi in diritto acquisito.
Quella che dovrebbe essere la normale alternanza dei cicli sportivi viene vista
come uno scandalo, ogni passo falso come un fallimento irrimediabile. Questa
trasformazione è stata alimentata non solo dai risultati sportivi, ma anche da
una narrazione che mette lo spettacolo davanti al risultato: si osanna chi
gioca bene e si critica chi vince “senza convinzione”, salvo poi cambiare
opinione al primo trofeo vinto dal “teorico dello spettacolo”. Basti vedere il
rapido cambio di giudizio pubblico tra Chelsea, PSG e allenatori celebrati a
giorni alterni.
Tra eredità e
nuovo inizio
Certo, di errori
all Continassa ne sono stati compiuti tanti. Negli ultimi quattro anni, la
Juventus ha voltato pagina rispetto al ciclo dei trofei: il club è reduce da
stagioni altalenanti, tentativi di rifondazione e rivoluzioni tecniche non
sempre riuscite. L’anno scorso, la delusione per una “nuova Juve” fallita a
marzo dopo 16 nuovi acquisti e una nuova guida tecnica ha lasciato il segno. Ma
nello stesso tempo la storia insegna che nessun club può mantenere uno standard
di vittorie costante, nemmeno quelli più blasonati d’Europa come Bayern e PSG.
Per i tifosi però, la percezione della realtà si è deformata: in pochi
ricordano l’attesa lunga oltre un decennio tra l’epoca di Trapattoni e quella
di Lippi, mentre molti finiscono per snobbare e sminuire successi che, in altri
contesti, avrebbero scritto la storia.
L’oggi: il
tutto e subito
Oggi la Juventus
deve fronteggiare ostacoli strutturali – economici, tecnici, di appeal – che
richiedono tempo, lucidità e gradualità. La scelta di Comolli di operare step
by step, puntare su un progressivo miglioramento della rosa e salvaguardare il
patrimonio tecnico recente va letta in questa chiave: si tratta di un metodo
più razionale, che mira a riportare il club ai vertici del calcio italiano e,
col tempo, a chiudere il gap (oggettivamente ampio) con i giganti europei.
Tuttavia, il tifoso juventino medio non è disposto ad aspettare: basti vedere
le recenti contestazioni, dove la rabbia della curva e le accuse alla dirigenza
sono diventate la normalità, e ogni tentativo di apertura di nuovo ciclo viene
percepito come una minaccia all’identità dominante del club. L’insoddisfazione
cronica e la polemica fine a sé stessa di oggi finisce per penalizzare più il tifoso
stesso che la società, dal momento che gli impedisce di riconoscere il valore
delle difficoltà e dei momenti “di transizione”, elementi intrinseci a
qualsiasi ciclo sportivo. Nessuno vince sempre, e se lo si è fatto per quasi un
decennio, forse è il momento di riscoprire anche il significato della pazienza
– e della passione vera. La strada di Comolli non sarà né facile né rapida, ma la
speranza è che sia quantomeno lucida e pragmatica. Spetterà a tutto l’ambiente
bianconero decidere se continuare a farsi del male con critiche a prescindere,
oppure accettare la realtà e rinnovare il supporto a chi sta provando a
ricostruire la Vecchia Signora, un passo alla volta.



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