LA CRISI DELLA GIUSTIZIA SPORTIVA: LA SENTENZA EUROPEA CHE APRE ALLA GIUSTIZIA ORDINARIA
Di Filippo Vagli
La nascita della
giustizia sportiva, risalente a metà dell’Ottocento, è stata fin dall’inizio
uno strumento interno allo sport, creato per regolare le controversie tra
praticanti attraverso esperti e saggi “gentiluomini” che giudicavano con
procedure rapide, in un contesto elitario dove lo sport era riservato alle
classi agiate. Questa giustizia privata, si fondava sull’assunto che gli atti
compiuti in campo non potessero essere giudicati come fatti ordinari di vita
civile, salvaguardando così la specificità della competizione agonistica. Con
il mutare della società, e soprattutto con la trasformazione dello sport in
un’industria dai grandi fatturati, la giustizia sportiva ha mostrato la propria
inadeguatezza e talvolta pericolosità. Le procedure sono rimaste spicce e
spesso non garantiste, con meccanismi poco trasparenti e decisioni spesso prese
a porte chiuse, come nel recente caso della Juventus. Inoltre, i giudici
sportivi sono nominati dalle federazioni sportive, che detengono il monopolio
della giustizia sportiva, creando così un rischio di conflitti d’interesse e di
uso strumentale della giustizia per eliminare avversari politici o personaggi
scomodi, con vendette private mascherate da autonomia e indipendenza. Da almeno
vent’anni la giustizia sportiva produce veri e propri “mostri
giurisprudenziali” che si giustificano con principi diversi dal diritto
ordinario e con la necessità di rapidità, velocità che però spesso sacrifica i
diritti fondamentali della difesa. Una situazione che la Corte di Giustizia
Europea ha iniziato a mettere in discussione, a partire dalla sentenza sulla
Superlega, nella quale ha indicato che questo modello di giustizia sportiva
autonoma e inappellabile non può più essere mantenuto. Anche in Italia la
politica comincia a riconoscere l’urgenza di una riforma, come ha sottolineato
l’onorevole Berruto e come appare intenzionata a fare il nuovo presidente del
CONI. Lo sport, che oggi muove miliardi e coinvolge milioni di professionisti,
necessita di una giustizia vera, imparziale, terza, che garantisca pienamente i
diritti costituzionali. Solo così potrà continuare a mantenere la propria
credibilità e legittimazione nel panorama sociale ed economico contemporaneo. L’indipendenza
di cui ha goduto per troppo tempo la giustizia sportiva si è trasformata in un
privilegio abusato, producendo un sistema anacronistico e a volte distorto che
oggi deve essere radicalmente ripensato e ricostruito per rispondere alle sfide
del nuovo sport professionistico e industriale. Il 1° agosto scorso, la Corte
di Giustizia dell’Unione Europea ha pronunciato la sentenza nella causa
C-600/23, stabilendo un principio valido per tutti gli Stati membri: contro le
decisioni dei giudici sportivi – comprese quelle del TAS di Losanna – dovrà
sempre essere garantita la possibilità di ricorrere alla giustizia ordinaria.
La Corte ha ritenuto l’esclusione di tale rimedio contraria all’art.47 della
Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE, riconoscendo lo sport come un’attività
economica e le decisioni arbitrali come soggette al controllo giudiziale
statale. In assenza di questo controllo, le decisioni perdono il loro valore
probatorio e l’autorità di cosa giudicata nei rapporti tra le parti. Si tratta
di una pronuncia destinata a cambiare radicalmente il panorama, mettendo in
crisi un sistema che, sin qui, ha resistito a ogni tentativo di apertura.
Infatti, la Corte rafforza un principio già sancito dalla nostra Costituzione
dal 1948: nessuna violazione o compressione dei diritti individuali può sottrarsi
al vaglio del giudice naturale e indipendente. Eppure, nella giustizia sportiva
italiana, questo assioma viene puntualmente disatteso, aggravato da un sistema
di nomine e incarichi che non garantisce né trasparenza né distanza tra
controllore e controllato. La sentenza europea non lascia spazio a margini
d’interpretazione, imponendo regole chiare che tutti gli Stati membri – Italia
inclusa – non potranno più aggirare. D’ora in avanti, ogni soggetto coinvolto
in una controversia sportiva potrà fare leva sul diritto di ricorrere al
giudice ordinario, superando ostacoli e barriere eretti troppo a lungo. E mentre
la giustizia sportiva italiana balbetta riforme annunciate e dubbi di reale
indipendenza, dall’Europa arriva una svolta che nessuno potrà più ignorare. Da
oggi in avanti, la garanzia che “ci sarà sempre un giudice da qualche parte” è
finalmente realtà per ogni sportivo.



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