L’EDITORIALE – JUVENTUS: PENSARE IN GRANDE NON È UN’UTOPIA
Di Stefano Dentice
Il DNA non tradisce. Mai. Se poi è quello della Juventus, come la storia ultracentenaria di questo glorioso club insegna, non può e non deve tradire.
Con il 2-1 al Gewiss Stadium di Bergamo, rifilato all’Atalanta del nuovo corso targato Ivan Jurić, la Juve ha concluso positivamente il suo precampionato, dove anche in terra bergamasca ha dimostrato di essere in un buonissimo stato di forma che lascia ben sperare per l’immediato futuro.
La squadra diretta da Igor Tudor, gradualmente, sta acquisendo una sua identità ben precisa, sia sul piano tattico che fisico, atletico e caratteriale. La formazione guidata dall’allenatore croato, in fase di possesso e non possesso, sembra già avere le idee piuttosto chiare, nel segno di quel 3-4-2-1 tanto caro all’ex mister della Lazio, almeno in questo momento il modulo che fornisce maggiori garanzie. I bianconeri, ad oggi, appaiono fisicamente e atleticamente in condizione, dimostrando inoltre di avere una buona personalità, un’unità d’intenti, un certo temperamento. Insomma, un gruppo credibile che, con convinzione, segue le indicazioni della sua guida tecnica.
Ma se dal manto erboso giungono segnali tutto sommato confortanti, ovviamente al netto di alcuni doverosi miglioramenti da apportare a stretto giro di posta, il mercato è in questa fase fatto di luci e ombre. Jonathan David, in gol proprio con i nerazzurri di Bergamo, è un acquisto (a parametro zero) di assoluto livello, così come l’acquisizione a titolo definitivo di Francisco Conceição e l’ingresso di João Mário, esterno destro arrivato dal Porto che, inizialmente, aveva fatto storcere il naso ai «professori universitari», senza cattedra, del calcio e in particolare della tattica; in primis quelli di fede bianconera. Però, è pur vero che il trio Comolli-Chiellini-Modesto, con l’ex massimo dirigente del Tolosa al comando delle operazioni, dopo aver ceduto Alberto Costa, Weah e Mbangula (su tutti), deve assolutamente accelerare sul piazzamento dei cosiddetti «esuberi»: Arthur, Douglas Luiz, Vlahović (anche lui a segno con l’Atalanta), Nico González e Miretti, in prima linea verso l’uscita della Continassa.
Ma non solo, perché l’organico a disposizione di mister Tudor non è affatto completo: manca minimo un centrocampista che sappia abbinare qualità e quantità, ma anche un attaccante. Per quest’ultimo ruolo, la trattativa con il PSG per (ri)portare Kolo Muani all’ombra della Mole pare ormai in dirittura d’arrivo. Quanto al centrocampo, invece, la risoluzione del rebus non è vicinissima: Matt O’Riley, per adesso, è nettamente in vantaggio rispetto ad Andrey Santos e Amadou Haidara, ma è necessario lavorarci ancora per definire il trasferimento.
Poi c’è il rientro di Gleison Bremer che, di fatto, è come se fosse un nuovo acquisto, in attesa anche del completo recupero di Juan Cabal. E inoltre, un potenziale nuovo “acquisto” potrebbe essere quello di Teun Koopmeiners, che nella scorsa stagione ha miseramente fallito pure per colpa del «santone» Thiago Motta.
Considerando tutti questi aspetti, anche la ferma volontà di Igor Tudor e del patron John Elkann di (ri)tornare a vincere, la Juventus ha l’obbligo quantomeno di iscriversi alla corsa scudetto, possibilmente senza fare voli pindarici. E l’esordio fra le mura amiche nella nuova stagione, domenica 24 agosto alle 20:45 con il Parma, è già un appuntamento da non fallire.
La Vecchia Signora ha l’urgenza di provare a coltivare la sana ambizione di vincere il tricolore perché lo deve alla sua storia, alla sua tradizione. Lo deve ai suoi tifosi, quelli veri. Sì, perché il DNA non mente mai. E quello bianconero è un DNA speciale. Quasi unico.



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